Carla Torgerson dei Walkabouts torna con Beckonings.
Ci sono alchimie tra artisti che restano irripetibili, tanto che, se si rompe la formula, qualcosa sembrerà sempre mancare. Per cui sarà anche sicuramente per la nostra tendenza ad innamorarci (o abituarci) a qualcosa che ci ha dato emozioni tempo fa, ma è evidente che il sodalizio artistico tra Chris Eckman e Carla Torgerson, sia come Walkabouts che come Chris & Carla, resti una delle espressioni artistiche più belle e feconde del mondo indipendente americano degli anni novanta e duemila. E che quindi per quanto soprattutto Eckman si sia prodigato in avventure su terreni nuovi e inesplorati, quando si ascoltano i loro dischi prodotti in separate sedi non riusciamo ma a non pensare che manchi una parte.
La carriera solista della vocalist Carla Torgerson non è mai stata una sua priorità, forse un po’ per la pacificata constatazione di essere destinata a deludere qualcuno, anche se quello che a oggi era la sua unica produzione (l’album Saint Stranger del 2004) risulti ancora oggi un interessante esperimento di folk bagnato in terra greca con produttori e musicisti del luogo.
Vent’anni dopo arriva Beckonings (Drums & Wires Recordings), album che non deve rendere conto a nessuno probabilmente, e che Carla ha infatti registrato in tutta tranquillità con un gruppo di amici, come dimostra una copertina che la mostra in camera tra le amate chitarre, dozzine di vinili e il santino di Robert Johnson appeso al muro, giusto per non avere dubbi su a chi (e di che età) si rivolge l’album. Che inizia con una cover un po’ a sorpresa, una Happy pescata tra gli episodi meno appetibili della raccolta di inediti Tracks di Bruce Springsteen, eppure fatta sua con grande classe e savoir faire.
Un disco fra cover e autografi
E proprio questa canzone posta all’inizio in qualche moda avverte su dove si vuole andare a parare, e cioè se non è più facile trovare nuove grandi canzoni, resta la possibilità di nuove grandi interpretazioni. E su questo campo, Eckman o non Eckman (comunque presente alla chitarra in Land of Plenty, brano di Terry Lee Hale, e come autore della splendida title-track), la Torgerson non teme grande concorrenza, con quel suo tono indolente un po’ sospeso tra Nico e una jazz-singer che ha fatto scuola tra molte vocalist degli anni ’90.
Oltre le tre cover (la quarta è Please Leave a Light on When You Go di Beck), ci sono cinque brani autografi in cui lo spleen esistenzialista della sua voce si trasmette anche a testi malinconici e un po’ disillusi, sebbene nel disco si respiri un’aria di pace e di una maturità più rasserenata che rassegnata (“Qualcuno una volta ha provato a dirmelo che tutti sono strani e la vita è un casino, ma c’è sempre spazio per insegnare a un pesce a volare, tocchiamo il cuore più che l’occhio”)
Sebbene la band e gli ospiti facciano tutti il loro compito più che egregiamente, manca forse il momento musicale che interrompa quella sorta di rilassato torpore che non ti molla mai fin dalla prima nota. Ma d’altronde questa è la musica che sappiamo di poterci aspettare da lei, e sicuramente, sebbene non scriva una pagina decisiva della sua carriera, Beckonings è un ritorno comunque gradito e più che piacevole.
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