Cesare Basile - Saracena

Poche uscite ma sempre significative: il ritorno di Cesare Basile con Saracena.

Non è certo uno che si inflaziona Cesare Basile; inutile aspettarsi un disco all’anno o giù di lì. Ma non ci eravamo resi conto che dal precedente lavoro in studio, Cummeddia, erano trascorsi quasi cinque anni. E un lustro difficilmente passa senza lasciare tracce e senza portare qualche cambiamento, anche in un artista dalla coerenza esemplare come Cesare Basile. Coerenza che però è sempre andata di pari passo con il desiderio di sperimentare nuove vie e nuovi mezzi espressivi. Non ricordo dove ho letto che negli ultimi tempi il musicista catanese è stato spesso avvistato nei mercatini dell’usato a fare incetta di tastiere economiche – magari perfino qualche “pianola” Bontempi? – che poi smontava e rimontava modificandole per ottenerne gli effetti sonori desiderati.

Cesare Basile tra elettronica e cordofoni

Non so se sia vero, ma certamente rispetto ai dischi precedenti in Saracena  il “peso” dell’elettronica è indubbiamente aumentato, anche se si tratta pur sempre di un’elettronica “vintage” e prodotta con mezzi quasi “artigianali”, che ricorda molto quella sentita in alcuni dei dischi più recenti di Hugo Race come Gemini 4, Star Birth e Star Death. Un’elettronica usata per tessere un tappeto sonoro, sovente espresso da una sorta di bordone sul cui sfondo si muovono gli arpeggi, talvolta ripetitivi fino all’ossessività, dei cordofoni, con una prevalenza di strumenti tipici della tradizione mediorientale come rebab e baglama che danno al tipico “blues mediterraneo” di Basile una connotazione spiccatamente “maghrebina”.

Esempio tipico di questa atmosfera il brano d’esordio, C’è Na Casa Rutta A Notu, in cui la voce di Basile comincia a dipingere con toni di rassegnato fatalismo quella storia di abbandono, sradicamento ed esilio che permea di sé l’intero disco: storia che ha radici lontane nella cacciata degli arabi dalla Sicilia dopo la conquista normanna e che trova drammatici riscontri nell’apparentemente inestinguibile esodo del popolo palestinese narrato dal poeta Mahmoud Darwish, che Basile stesso dichiara come una delle sue principali fonti di ispirazione. 

Saracena e la musica come flusso

Il disco – otto brani di cui due strumentali – scorre quasi senza soluzione di continuità, quasi senza che si noti il passaggio da un brano al successivo (con un paio di eccezioni che vedremo) in virtù dell’unitarietà tematica dei testi, della caratterizzante “ripetitività” del tessuto musicale e della cantilenante lingua siciliana, ormai irrinunciabile per il catanese.

Questa “unitarietà” è solo in parte attenuata in due momenti. In Caliti Ciatu una voce femminile – quella di Francesca Pizzo Scuto, che firma anche la bella immagine di copertina – conclude ognuna delle tre strofe con una frase in inglese che dipinge, soprattutto in quella finale (“The interrogator plays a record on which there is a burst of applause”), uno scenario inquietante di probabile tortura. Nella successiva U Iornu Du Signuri il dominio pressoché incontrastato di elettronica e cordofoni è interrotto – o, per meglio dire, affiancato – dall’intervento di Puccio Castrogiovanni alla zampogna e alla sua versione maghrebina, il mizwad, che sposta ancor più verso la sponda meridionale del Mediterraneo la complessiva cifra musicale del disco. 

L’atmosfera resta immutata nel successivo e ultimo brano, Cappeddu A Mari, dove percussioni, cordofoni e mizwad rivestono in modo esemplare un testo di struggente malinconia di cui riportiamo, per comodità in traduzione italiana, la strofa iniziale: “Vola e vai cappello a mare / Vola e vai dove devi andare / Vola e perditi nell’onda / Vola all’isola che infiamma / Solo non posso scordare / l’occhio che ti ha visto andare via”.

Se nei suoi dischi precedenti Basile si era sempre circondato di molti eccellenti collaboratori, qui – con l’esclusione dei due casi appena citati – ha fatto invece pressoché tutto in solitudine, a testimonianza di un “viaggio che andava affrontato da solo”: come lui stesso afferma, “dovevo scavare nel fondo più fondo”.

Cesare Basile – Saracena
8 Voto Redattore
0 Voto Utenti (0 voti)
Cosa ne dice la gente... Dai il tuo voto all'album!
Sort by:

Be the first to leave a review.

User Avatar
Verificato
{{{ review.rating_title }}}
{{{review.rating_comment | nl2br}}}

Show more
{{ pageNumber+1 }}
Dai il tuo voto all'album!

print

“Giovane” ultrasessantenne, ha ascoltato e ascolta un po' di tutto: dalla polifonia medievale all'heavy metal passando per molto jazz, col risultato di non intendersi di nulla! Ultimamente si dedica soprattutto alla scoperta di talenti relativamente misconosciuti.

Lascia un commento!

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.