Dyonisus e la lunga attesa per il nuovo disco dei Dead can Dance.
Dionysus, uscito il 2 novembre, è stato un album attesissimo, almeno per me che riservo un amore speciale per il sound dei Dead can Dance. Ad un primo ascolto le due lunghe tracce, divise ognuna in diversi movimenti, sono passate senza particolari sussulti. Delusione. Vuoi dire che è un “disco tappezzeria”? No, non può essere.
Gli ascolti ripetuti di Dyonisus alla fine ripagano
Mi sono intestardita e l’ho messo in loop per gran parte della giornata mentre lavoravo.
Dopo più ascolti, qualche emozione random c’è stata, dalla mia scrivania sono stata proiettata altrove, in altri emisferi, di altre epoche.
La prima parte di Dionysus porta verso l’Oriente
La prima parte evoca territori mediorientali con suoni e timbri tipici, a sorpresa un tappeto sonoro in trasparenza mi riporta subito ai Popol Vuh di Nosferatu. La voce di Lisa Gerrard è perfetta in tessiture vocali, nenie e cantilene lontane. Come sa fare lei.
Poi i Dead Can Dance si spostano in Brasile, e noi con loro
La seconda parte è scivolata in un altro emisfero. La voce profonda di Brendan Perry è sempre una garanzia.
Mi sono persa, e rimasta sospesa più volte, in un canto-scioglilingua in un idioma sconosciuto, tenuto in piedi da un’apertura ritmica brasiliana tipica del Berimbau. Dal Brasile, poi, sono finita in una foresta, probabilmente amazzonica, in atmosfere cupe e notturne in cui, facilmente, è probabile incontrare un indigeno di Avatar.
Giudizio finale per Dyonisus
Dai, alla fine, non è un disco tappezzeria. È possibile che, prossimamente, ricada nel loop. Forse è il modo migliore per ascoltarlo.
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