Elena M. Rosa Lavita – Wabi Sabirural isolation project

Arlo Bigazzi / Elena M. Rosa Lavita: De(Con)Struction Is Creation.

Avviso ai leggenti: questa recensione contiene una mini-recensione. Two is megl che one.

Elena M. Rosa Lavita – Wabi Sabi

Dell’artista multimediale Elena M. Rosa Lavita (e tante altre cose) ho già parlato in occasione dell’uscita di D’altronde Son Sempre Gli Altri, realizzato con Arlo Bigazzi, presenza coerente e costante nelle musiche altre degli ultimi 48 anni (e tante altre cose)che diventa dopo un recentissimo lavoro di remake/remodel, De(Con)Struction Is Creation (Materiali Sonori su CD / Ölocaust Recordings su cassetta), a cui partecipano Black/Lava, ODRZ, Icydawn, Paul Beauchamp, Sigillum S, Michele Di Martino, Jan Morten Iversen, Mulo Muto. Lavoro sublime di affidamento dei propri figli sonori ai succitati, che riescono a rendere gli originali talmente irriconoscibili da far chiedere, semanticamente, quanto un remix possa essere creativo nella decostruzione — con gli stessi Bigazzi e Lavita a tagliare e ricucire il lavoro dei remixer per comporre una nuova cellula pulsante.

Elena M. Rosa Lavita – Wabi Sabi

Ma parlando invece di Wabi Sabi, opera sonora che Elena M. Rosa Lavita dichiara essere ispirata a una filosofia di origini giapponesi, dove la bellezza è incompleta, imperfetta ed effimera — un richiamo, per il sottoscritto, a quella New Form of Beauty dei primi Virgin Prunes e, al tempo stesso, un monito sull’attualità e i suoi derivati, dove il concetto di bellezza e la sua fisiologica temporalità occhieggiano persino al cinema contemporaneo (si veda Substance…). Quindi, il concetto di Wabi Sabi punta a un sé liberato dalla illusoria ricerca della perfezione, e niente, come il lavoro omonimo qui trattato, potrebbe meglio renderne l’idea.

Un disco in sette movimenti

Wabi Sabi, con i suoi sette movimenti, è un trattato su come utilizzare i suoni per penetrare aree del non-conscio, sopite dall’educazione e dal Super-Io antroposociale, per destare nell’ascoltatore sensazioni ad oggi ignote, e per calarsi in meandri sonori di fascinazione unica nel panorama odierno.

Il perturbante che ammanta Being, intro all’opera, disegna scenari che ognuno potrà trovare, a seconda della propria biografia, seducenti o luciferini. Ephemeral è arte materica in suono: può capitare, all’ascolto, di ritrovarsi coperti di polveri arancioni sotto un cielo mondopolita. Un bellicismo interiore contrasta con il senso di irrisolutezza che permea la vita degli educati all’insoddisfazione.

As è sinfonia di bordoni, loops iridescenti di buio ma viatico verso una nuova concezione di luce. L’apparente senso di sottrazione è, in realtà, preludio ad epifanie interiori. An prosegue l’itinerario aggiungendo un senso di materiale sensazione tattile: chiunque potrà trovarsi al centro di un’installazione psicoriferita.

Haiku utilizza la reiterazione di un rombo, ma potrebbe esser anche altro, tanto i suoni sono ipertrattati per esaltarne l’appunto riferita riconoscenza al non-perfetto. Conditio, quella della perfezione, strutturata per rifocillare l’insicurezza del singolo. Whispered è il classicismo 2.0 — e pure 3.0 — l’insinuarsi di perle di luce, preludio all’uscita per riveder le stelle.

Il viaggio termina con To the Wind: il concetto di vento come aria nuova, movimento, uscita dalla stasi, liberazione e, finanche, consapevolezza — parola spesso citata a sproposito in contesti dove la richiesta è invece di asservimento.

Suoni, dunque, quasi da trattato psicomagico di jodorowskiana memoria: esaltazione del memento ora, esperienza intima, e quindi da rendersi universale per la sua terapeutica funzione necessaria.

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Collaboratore per testate storiche (Rockerilla, Rumore, Blow Up) è detestato dai musicisti che recensisce e dai critici che non sono d'accordo con lui e che , invece, i musicisti adorano.

Di Marcello Valeri

Collaboratore per testate storiche (Rockerilla, Rumore, Blow Up) è detestato dai musicisti che recensisce e dai critici che non sono d'accordo con lui e che , invece, i musicisti adorano.

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