Enzo Jannacci - Vengo anch'io

Giorgio Verdelli racconta un artista geniale in “Enzo Jannacci – Vengo Anch’io”.

Il meraviglioso mondo obliquo e straniante di Enzo Jannacci viene omaggiato, finalmente, da un bel documentario firmato da Giorgio Verdelli, presentato alla Mostra del Cinema di Venezia e ora in sala. Una narrazione concisa, efficace, scandita da alcune canzoni-simbolo, che contribuisce a inquadrare bene la figura del cantautore milanese, vera e propria scheggia impazzita della musica italiana per quasi cinque decenni. In America l’avrebbero etichettato come “maverick”, ma in Italia un termine simile non l’abbiamo ancora…

Sono in tanti a raccontare Enzo Jannacci

Con molte immagini d’archivio e sentite testimonianze, “Enzo Jannacci – Vengo Anch’io” porta alla luce le diverse facce di Jannacci: la voce bizzarra, il suo (apparente) non prendersi sul serio, la perizia musicale, le numerose collaborazioni (Dario Fo, Gaber, Milva, Cochi e Renato, Beppe Viola ecc.). Meno indagata, invece, la seconda attività, quella di medico (tranne il divertente aneddoto sulle targhe rubate dal portone del suo studio).
Tra le testimonianze più estese quelle del figlio Paolo, di Roberto Vecchioni e quelle intense di due Rossi, il collega Paolo e il meno prevedibile Vasco. Di quest’ultimo scopriamo che fu ammirato da Jannacci sia prima che dopo il grande successo. Jannacci si spinse fino a scrivergli una lettera personale di apprezzamento (che Vasco rilegge, con grande commozione da una fotocopia, perché gelosissimo dell’originale).
Viene sfiorato anche il suo rapporto con il cinema, ricordando Romanzo Popolare di Monicelli, per cui Jannacci scrisse la formidabile Vincenzina e la Fabbrica. In aggiunta alle testimonianze e ai godibili video d’epoca si trovano anche alcune chicche come un duetto-prova con Paolo Conte per Bartali, uno con Mia Martini per la struggente Io e Te e un acerbo inedito d’inizio carriera.
Dalla sala si esce, dopo tante emozioni e ricordi, con un sorriso sghembo e gli occhi umidi, alla maniera di Enzo…
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Recensore di periferia. Istigato da un juke-box nel bar di famiglia, si cala nel mondo della musica a peso morto. Ma decide di scriverne  solo da grande, convinto da metaforici e amichevoli calci nel culo.

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