Gizmodrome: sembra uno scherzo ma non lo è.
Dunque, poteva essere Klark Kent 2.0. Oppure The Twang Bar Four. Oppure King and Other Three Guys. O, in ultimo, Vittorio e i suoi Miti. E invece è Gizmodrome. Gizmodrome è già guascone come nome ed incarna la perfetta versione supergruppo che tanto cara fu ai prepensionati del prog anni ’80. Probabile che, almeno tre su quattro componenti della band, provenienti da quella wave che il prog lo aveva sepolto, se gli avessero detto che nel 2017 avrebbero formato un supergroup si sarebbe lasciati andare a insulti e vilipendi e frizzi , lazzi e freddure.
Chi sono i Gizmodrome?
Per chi ancora non lo sapesse Gizmodrome è formato da Stewart Copeland, Adrian Belew, Mark King e Vittorio Cosma. Un ibrido che vede quindi Police, Level 42, Zappaheadsbowiecrimson e, mi viene in mente non a caso, Elio e le Storie Tese, band in cui il maestro Cosma milita, più o meno apertamente, quasi dagli esordi discografici.
Ed è proprio grazie a una esibizione di Elio che Cosma ha incontrato Belew che avrà chiamato Copeland che avrà visto in un programma di meteore King che la band ha preso piede… Sembra Alla Fiera dell’Est, scritto così… Beh, alle prevenute e sardoniche orecchie del sottoscritto, visto il siffatto cast, il lavoro ha, in realtà, restituito un senso di dejavu, che, anziché essere citazionistico colto, è proprio il real McCoy, il brand originale di un suono che ha fatto, nel bene o nel male, un’epoca.
I Gizmodrome somma delle parti
Immagino che i quattro si siano divertiti come matti in sala prove. Datosi che Copeland era il buffone alla corte di Sting (che invece continua a prendersi molto sul serio ed è meglio della melatonina per tenere a bada il cortisolo), Belew ha sempre mostrato un lato ludico ereditato dalle frequentazioni Zappiane primigenie, Cosma, inutile dirlo, frequenta le storie tese da quando facevano ridere e King, a sua volta, arrotonda la pensione.
Comunque il disco trasmette una sanissima cazzoneria senile e scorre come pochi altri in questi tempi. Fatta la conta dei brani ci si ritrova tutto il rispettivo bagaglio sonoro. Copeland è sempre un grandissimo picchia tamburi. King bassa come ci si aspetta e canta come se non fosse passato un giorno dalle glorie che furono. Belew svolge il suo compito con rumorosa dovizia. E il buon Cosma, che immagino assolutamente estatico, incolla il tutto con le sue tastiere made in Italy.
Insomma a mio avviso, più che supergruppo autoincensantesi qui ci son quattro musicisti che fanno a gara a chi se la spassa di più alla faccia della critica colta. Ah, in un pezzo c’è pure Elio.
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Un album che va ascoltato molto attentamente, tenendo conto di ogni dettaglio sonoro e di ogni sfumatura per evitare di scadere in giudizi affrettati e sbrigativi che sminuirebbero, a torto, il valore di questo bel disco d’esordio. Perchè dopo un primo impatto si rimane un pò perlessi e può balenare l’errata idea che si tratti di un disco realizzato in fretta e che, con un ‘minimo sforzo’, questa superband abbia voluto sfornare un lavoro senza troppo impegno. Ma la caratteristica dei grandi album è proprio quella di essere assimilati gradualmente, fino ad arrivare alla quadratura del cerchio, dove ogni tassello, ogni nota, ogni vocalizzo risultano studiati con dovizia e ricchi di ricerca e dedizione e allora il gradimento per chi siede davanti allo stereo inizia il picco verso l’alto. Un bel divertissment di qualità.