Recensione: I Like Trains – KompromatAtlantic Curve - 2020

I Like Trains prima dell’oscuro Kompromat.

Kompromat, sinistro acronimo dei tempi del KGB, sta per ‘materiale compromettente’, ed è il titolo ma ancor più la cifra dominante di un disco avvolto dalla prima all’ultima nota in un manierato e programmatico manto millenaristico di paranoia. I suoi difetti però finiscono – più o meno – qui, e va detto a onore del gruppo di Leeds che ci ha abituato negli anni a servire un po’ troppo timidamente tanto il bene quanto il male.

Recensione: I Like Trains – Kompromat
Atlantic Curve – 2020

Esordienti senza infamia e senza lode nel 2006 con il tenue ma gradevole acquerello psyco pop (non privo di delicati tocchi folk) di Progress – reform, con Elegies To Lessons Learnt (di appena un anno dopo) apparivano già pienamente maturi. Art pop elegante e decadente il loro, frutto di una ortodossa ma non pedissequa adesione ai riti del Nick Cave fra The Boatman’s Call e No More Shall We Part, eppure non immemore del Bowie più apocalittico, fra The Man Who Sold The World e Diamond Dogs, riuscito esercizio di equilibrio di linee melodiche suadenti, arrangiamenti opulenti ed il sicuro carisma vocale di Dave Martin. Ci si sarebbe aspettati un salto, o un guizzo, ma con The Shallows del 2012 gli I Like Trains si limitavano al compitino ben fatto, annoiando un po’, alla fine, ingessati ed uniformi nel loro corretto prender modi e stili dall’eleganza pop-wave dei New Order e dalla dance evocativa degli Ultravox di Midge Ure, che tanto amammo, e che già serpeggiava nel lavoro precedente.

Divorce Before Marriage e un cambiamento che appariva necessario

Una mai sopita, perniciosa tendenza a prendersi molto, troppo sul serio, nonché una pervicace propensione predicatoria, li portano nel 2016 a realizzare un documentario. Su loro medesimi. E su quel che gli I Like Trains (sempre bravi nei titoli, va detto) pensarono, dissero e fecero fra il 2012 e il 2016. Ora, chi scrive ama molto, e lo confessa, la così detta ‘musica espansa’ (anche se non ha ben chiaro fino in fondo cosa sia). Ma chi scrive, non di meno, durante il ripetuto, masochistico ascolto dei 64 minuti dell’album Divorce Before Marriage, soundtrack del documentario, ha messo mano una infinità di volte alla famigerata pistola. Riverberi infiniti di chitarra, dilatazioni sonore da far perdere la pazienza finanche a Brian Eno, un mareggiare assorto di sospiri e murmuri musicali. Male, perdio. Parecchio male.

I Like Trains sempre dark, ma con più stoffa in Kompromat

All’uscita di Kompromat, con siffatte premesse, mi attendevo il precipizio, lo ammetto. E invece no. L’album è un’apertura decisa e sicura ad un post rock ruvido e danzante, appena screziato di crauti teutonici. Nick Cave e New Order padrini benedicenti, certo, ma, ci pare, confortati da un’acida e tonificante immersione nelle acque torbide della dark wave californiana (aleggiano, eccome, gli spiritelli maligni dei She Wants Revenge). Come sempre, un filo troppo di programmaticità e di studiata apocalisse determinano un risultato solido ma forse troppo uniforme: basta però tornare con la memoria a Divorce Before Marriage e va bene (quasi) tutto, anche una lodevole, per quanto un po’ ingenua, tendenza al proclama sulle piaghe di un mondo dominato da complotti, disinformazia ed in cui fioriscono populismi di ogni risma.

 

Dopo un ghignante, sinistro avvio con la tesa A Steady Hand, il dittico scricchiolante e rumoristico Desire Is A Mess e Dig In si assesta appena un poco al di sotto. La curva torna a salire (mi si perdoni la sciagurata metafora, figlia dei tempi) con PRISM e ancor più con i ritmi incalzanti e le chitarre taglienti di Patience Is Virtue e A Man Of Conviction, resi appena più docili in New Geography. Fino a culminare nella ossessiva salmodia (e fin dal titolo, programmatica: non ce la fanno, via) di The Truth, che conclude con predittiva apoditticità una parabola a cui la finale, morbida Eyes On The Left (che vede la non memorabile partecipazione di Anika) ci pare non aggiunga né tolga troppo.

Un giudizio positivo

Con Kompromat gli I Like Trains, che non brillano di troppa luce propria, e si teme possano per il futuro ancora peccare pericolosamente di superbia, lasciano almeno ben sperare. Chi si era svegliato sudato nel cuore della notte al ricordo di Divorce traendone, come il sottoscritto, vaticini ben poco promettenti viene, ed è un gran bene, per il momento smentito con decisione. Li aspettiamo, benevolmente, al varco della prossima prova, sperabilmente senza documentari che ci raccontino cosa hanno detto, fatto e pensato nel frattempo.

I Like Trains – Kompromat
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Ha iniziato ad ascoltare musica nel 1984. Clash, Sex Pistols, Who e Bowie fin da subito i grandi amori. Primo concerto visto: Eric Clapton, 5 novembre 1985, ed a seguire migliaia di ascolti: punk, post punk, glam, country rock, i pertugi più oscuri della psichedelia, i freddi meandri del krautrock e del gotico, la suggestione continua dell’american music. Spiccata e coltivata la propensione per l’estremo e finanche per l’informe, selettive e meditate le concessioni al progressive. L’altra metà del cuore è per i manoscritti, la musica antica e l’opera lirica. Tutt’altro che un critico musicale, arriva alla scrittura rock dalla saggistica filologica. Traduce Rimbaud.

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