Primo disco solista del frontman dei Felice Brothers.
Mai nomen fu così poco omen. Ian Felice esordisce come solista con un disco tristissimo, anzi lugubre. Si intitola In The Kingdom Of Dreams e i sogni di cui parla sono ben illustrati dalla copertina, un quadro di Albert Pinkham-Rider intitolato “il circuito (la morte su un cavallo pallido”. Giusto per dare subito l’idea.
Ian Felice diventa padre, ma non pare del tutto sereno
Un lavoro che nasce dall’elaborazione di un lutto, verrebbe da pensare. Niente di tutto questo. O forse sì. Qualche tempo fa l’improbabile (segaligno, faccia affilata, occhi spiritati) frontman dei Felice Brothers è diventato padre. Eventi di questo tipo producono di norma nei musicisti un tipo di ispirazione smancerosa dai risultati funesti (il peggiore di tutti fu forse Jovanotti, ma non vogliamo ricordare meglio). Qui invece è funesto il mondo che Felice traccia per la propria creatura. E anche per se stesso. Giusto per dare un’altra idea, ecco un frammento del testo di Water Street: “Mio padre uscì a piedi/ E proseguì a piedi sotto una luna anni ‘80/ A volte esco a piedi anch’io/ Ma poi torno a casa/ Per dar da mangiare ai gatti vicino allo scaldabagno”.
Naturalmente lo sguardo si allarga dal privato al pubblico, anzi al cosmico. Così In Memoriam e Road To America evocano lo spettro di una nuova povertà diffusa sotto il tallone di un potere sarcastico e indifferente.Da cui l’idea, a cui si accennava sopra, che la paternità possa essere un lutto più che una gioia.
In The Kingdom Of Dreams: un concept album in chiave folk
Capita in casi simili, e un po’ capita anche qui, che l’ampiezza dei temi restringa il campo alla musica. Ian Felice ha probabilmente scritto le canzoni di getto, a volte trovando strutture melodiche compiute, a volte utilizzando semplici fondali acustici con voce, chitarra, piano e buffi sintetizzatori che suonano più arcaici delle chitarre e del piano. Un suono folk né vecchio né nuovo e quasi sospeso nel tempo. Come era stato per l’ultimo album dei Felice Brothers, Life In The Dark.
Considerando che il cantato è al solito fra il dolente e l’indolente, appare chiaro come In The Kingdom Of Dreams sia un disco prendere o lasciare. Può risultare noiosissimo, persino presuntuoso, oppure può coinvolgere in modo totale. Sovente la scelta fra un polo o l’altro dipenda dall’ultima canzone del programma. Chissà se ci ha pensato anche Ian Felice, visto che In The Final Reckoning è bellissima nel suo lasciarsi andare a una sorta di apocalittica serenità: “Durante il conteggio finale squilleranno molti telefoni?/ Come lo osserveremo?/ Come andremo?/ Sarà fuoco o sarà neve?”. Roba spessa. Anche tenera.
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