Maxophone – La Fabbrica Delle Nuvole.
Allora, per i neofiti, i Maxophone sono stati una band italiana che ha realizzato un album omonimo nel 1975, dopodiché un singolo nel 1977, dopodiché, probabilmente a causa dell’avvento della Nuova Onda, apparentemente son spariti. E ora… La Fabbrica Delle Nuvole.
In realtà già nel 2006, quando l’album compiva 31 anni ed era diventato un guilty pleasure per tutti gli estimatori del prog Made in Italy, i ragazzi si erano già riuniti per rimettere in piedi la casa madre. Per necessità e urgenza espressiva al posto di opportunismo e scaltrezza commerciale…
A 41 dall’esordio, il ritorno dei Maxophone convince senza fatica
Intervallato solo dalla pubblicazione di un dvd contenente un concertino registrato negli studi RAI con aggiunta di un cd di inediti o versioni diverse dagli originali (il bel cofanetto From Cocoon To Butterfly) e da un Live in Tokyo che ci rinfrescava la memoria sulla perizia della band (che nel frattempo aveva acquisito giovani talentuosi), ecco tra le orecchie giungerci, direi finalmente, il nuovo lavoro maxophonico. Lavoro che non tradisce e non delude le aspettative, almeno quelle del sottoscritto.
Due le cose che mi preme sottolineare. La prima è che i testi delle nove canzoni (la title track è invece strumentale) hanno una poetica genesi. Sono infatti a firma del fu Roberto Roversi, rinomato poeta, appunto, già prezioso sodale del Lucio Dalla più intransigente, quello poco prima del grande successo di pubblico. Dunque la matrice è solida, e si sente. La seconda è che, senza nulla togliere al talento della band, per far capire agli amici chi fossero i Maxophone, generalmente si diceva che erano i Gentle Giant italiani. Per chi conosce la band inglese, il paragone non è era proprio segno di disprezzo, anzi.
La Fabbrica Delle Nuvole non è semplice suono “vintage”
La Fabbrica Delle Nuvole è quindi un atteso comeback che mantiene le aspettative rispetto alle promesse di 42 anni fa. Le songs hanno durata più breve rispetto all’esordio, mentre il gentlegiantismo è omaggiato e presente in resa esecutiva e compositiva. Fanno eccezione le poche tracce più assimilabili al neo-prog di matrice italica, comunque sempre signorilmente eseguite.
Sempre rispetto al primo album viene a mancare qualche fraseggio jazz-rock. Tuttavia, a un ascolto più attento, si coglie una capacità di scrittura tutt’ora assolutamente fedele al modello originale, al punto che alcuni brani potrebbero essere usciti un anno dopo l’esordio senza per questo essere etichettabili come “vintage”.
Insomma, a me il disco piace assai. Non so se dovrò aspettare altri 42 anni per sentire il prossimo; nel caso mettetemi un paio di cuffie nella cassa, grazie.
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