La “politica in pezzi” di Neneh Cherry.
Sono tempi spezzati, come sempre forse, se guardiamo indietro senza la nostalgia dei vent’anni, ma con la politica che invece di provare a rimettere insieme i cocci come dovrebbe, contribuisce a sbriciolarli ancor di più. Anche se non è la prima volta che accade, certo, e non sarà nemmeno l’ultima.
Il mondo d’oggi secondo Neneh Cherry
Lo sa bene Neneh Cherry che a proposito di questo suo quinto album solista, intitolato non a caso Broken Politics, (alla lettera “politica guasta”) ha scritto su Twitter: “È un progetto personale sulle mie stesse lotte come essere umano sensibile… Ma riguarda anche il mondo in cui tutti viviamo adesso”.
I suoni e la produzione di Broken Politics
Prodotto come il precedente Blank Project, ma in maniera molto più morbida, da uno dei guru dell’elettronica, Kieran Hebden, in arte Four Tet (tranne che per il singolo Kong in cui ha rinnovato l’intesa con Robert 3D dei Massive Attack), il disco è stato registrato nel Creative Music Studio, Si tratta di un luogo storico per la musica di ricerca e d’avanguardia, fondato dal vibrafonista Karl Berger e da Ornette Coleman negli anni ‘70. Che poi i due siano anche stati compagni di viaggio del patrigno di Neneh non è certo un caso. Il riferimento è esplicitato in Natural Skin Deep (“As my touch feels can’t wait, ‘Cause I have an allergy to my realness, Like I’m, oh, so weak”) che contiene un sample da Growing Up, oscuro 45 giri del quintetto proprio di Coleman con Don Cherry pubblicato dalla Impulse! nel 1969 e in Deep Vein Thrombosis in cui la citazione arriva direttamente da Brown Rice (disco ‘italiano’ del ‘75).
Broken Politics è una biografia in musica di Neneh Cherry
Ma tutto l’album sembra immortalare lo sguardo di una cinquantaquattrenne nata a Stoccolma, cresciuta tra New York e Londra che rilegge la sua storia, dalle prime collaborazioni con Rip Rig + Panic, passando per The The e Gorillaz, e che prova ad affrontare i grandi problemi di un oggi (i rifugiati in Kong – “Every nation seeks its friends in France and Italy” – la violenza armata in Shot Gun Shack) che non riesce a comprendere.
Ma ci prova, e lo fa anche attraverso una musica che pur nutrendosi di strumenti del passato (la kora, il flauto, l’arpa) diventa assolutamente contemporanea nel suono increspato di elettronica della misurata produzione di Four Tet; con la consapevolezza che da sola non riuscirà a rimettere insieme i pezzi: “And am i needless to say? Another song, this is nothing new”.
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