Otis Redding - Dock Of The Bay SessionsRhino-Atlantic

Otis Redding e il suo album incompiuto.

Otis Redding - Dock Of The Bay Sessions
Rhino-Atlantic

“La prova più difficile della mia vita è stato mixare questo disco mentre il corpo di Otis non era stato ancora ripescato. Sapevano dov’era, sapevano dov’era l’aereo, conoscevano il punto, ma l’acqua era troppo fredda per i sommozzatori, troppo sporca e la visibilità pessima”. (Steve Crooper)

Ci sono molte telefonate in questa storia. C’è quella di Otis Redding alla moglie Zelma, una domenica mattina di dicembre, verso le sette e mezzo. Lui le dice che va tutto bene, parla con il suo bambino di tre anni, poi la saluta ricordandole di comportarsi a modo.

Ci sono quelle che poche ore dopo rimbalzano da un capo all’altro degli Stati Uniti e che, nell’incredulità e nello sgomento generale, confermano la notizia della caduta del piccolo aeroplano che trasportava Otis e la sua band, i Bar-Keys. (Si salveranno solo in due: uno aveva preso un volo di linea a causa della limitata capienza del velivolo, l’altro sarà ritrovato aggrappato ad un pezzo di aereo nelle gelide acque del lago Monona.)

E poi ci sono quelle che arrivano a Steve Crooper, qualche giorno dopo quel 10 dicembre 1967. Ma ben prima del giorno del funerale, inizialmente previsto per il venerdì 15, poi posticipato al lunedì successivo per permettere l’arrivo di tutte le celebrità che volevano partecipare alla funzione. Qualche nome: James Brown, Wilson Pickett, Solomon Burke, Percy Sledge.

Le registrazioni per Dock Of The Bay

A chiamare il chitarrista della house-band della Stax (uno che nel settembre del 1962 è arrivato al terzo posto delle classifiche USA con Green Onions), l’uomo che da almeno quattro anni è l’inseparabile collaboratore di Redding, oltre che co-autore di molti brani, sono Al Bell (in quel momento il vice presidente della Stax, l’etichetta per cui incide Otis) e Jerry Wexler (uno dei tre boss della Atlantic, che aveva appena siglato un accordo di distribuzione con la piccola casa discografica di Memphis).

L’argomento in discussione è avere un nuovo disco di Otis Redding ed averlo il prima possibile. E solo lui può riuscirci:  ha partecipato alle sedute di novembre in cui sono stati incisi i dodici brani – oggi ripubblicati come Dock of the Bay Sessions – e nei primi giorni di dicembre ha già iniziato a lavorarci, aggiungendo ad esempio lo stridio dei gabbiani con cui si apre la canzone più famosa.

La tragedia si trasforma rapidamente in business e così Crooper – “sembrava impossibile, Otis era la Stax, e noi eravamo a pezzi. Ma l’abbiamo fatto” – torna in studio e finisce il missaggio di (Sittin’ on) The Dock of the Bay che verrà pubblicato l’8 gennaio 1968 diventando il primo singolo postumo a raggiungere il vertice delle classifiche statunitensi.

A febbraio verrà pubblicato un album che riprende il titolo e contiene The Dock of the Bay, ma il resto del materiale  è già edito. A giugno in The Immortal Otis Redding salterà fuori qualche altro titolo da quella seduta, tra cui I’ve Got Dreams to Remember, ballata da far rabbrividire e i cui testi portano la firma di Zelma. Per il resto bisognerà aspettare compilation e box-set che periodicamente arricchiranno la discografia del magnifico cantante originario di Dawson, in Georgia.

La ragion d’essere d’essere di Dock Of The Bay Sessions

Ora le dodici canzoni vengono pubblicate per la prima volta insieme e non è il caso di scandalizzarsi più di tanto per l’ennesimo esempio di sfruttamento commerciale post-mortem. In fondo più di tanti altri questo long-playing (esce anche in vinile ovviamente) merita di essere promosso come l’album che Otis Redding non ebbe il tempo di registrare. Oltre ai brani citati ci sono il funk-rock mozzafiato di Love Man,  Gone Again, una ballata poco conosciuta dalle forti immagini naturalistiche, Hard to Handle (ripreso dai Black Crowes in Shake Your Money Maker), un tradizionale come Amen e un titolo esemplare come la fiammeggiante I’m a Changed Man.

Il desiderio di cambiamento di Otis Redding dopo Monterey

È cosa risaputa che dopo l’eccezionale esibizione del Festival di Monterey di quell’anno, Otis aveva voglia e sentiva il bisogno di cambiare. Stava prendendo nuove strade, in cerca anche di un nuovo pubblico. Ce lo dice l’ultima telefonata di questa storia,  ma  la prima in ordine cronologico. E’ quella che Otis, convalescente dall’operazione alle corde vocali che lo aveva tenuto fermo per cinque settimane, aveva fatto, sempre a Crooper,  dal ‘buen retiro’ di Sausalito su una house-boat che gli aveva trovato Bill Graham, il patron del Fillmore: “Ho qualcosa da farti sentire; ho bisogno che tu la senta”. E ancora oggi quell’affermazione arriva dritta fino a noi, con la stessa forza e la stessa urgenza. Amen.

Potete ascoltare qui il programma su Wikiradio dedicato da Danilo Di Termini a Otis Redding e Dock Of The Bay

 

Otis Redding - Dock Of The Bay Sessions
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Da ragazzo ho passato buona parte del mio tempo leggendo libri e ascoltando dischi. Da grande sono quasi riuscito a farne un mestiere, scrivendo in giro, raccontando a Radio3 e scegliendo musica a Radio2. Il mio podcast jazz è qui: www.spreaker.com/show/jazz-tracks

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