Peter Gabriel i/o

Peter Gabriel – i/o: non banale, affascinante, deludente.

Un disco di Peter Gabriel non è mai banale. Può essere, a tratti, affascinante, ma anche deludente. Così è il nuovo i/o pubblicato ieri. Il titolo, apparentemente enigmatico, significa input/output perché, parola dell’autore, tutto è interconnesso e non soltanto da internet, ma dalla sensibilità dell’appartenenza al genere umano.

Non è un lavoro banale perché il valore artistico, l’istrionismo pop, la curiosità intelligente d’un “umanista che s’interessa di cose spirituali”, come si è definito, portano Gabriel inevitabilmente a esiti notevoli e talvolta unici. È a tratti affascinante per la qualità comunicativa e per le emozioni che distribuisce, con empatia, grazie al senso non effimero della musica. È deludente perché la stagionatura temporale, ventun anni dal precedente Up a cui risalgono, almeno come idea, alcune canzoni (all’epoca Gabriel intendeva completare i/o per il 2004), non sempre è sinonimo di riflessione, originalità, avanguardia nella ricerca.

Peter Gabriel

Centocinquanta canzoni per Peter Gabriel

Probabilmente in tutto questo tempo, nella mente del suo autore, il disco ha assunto diverse fisionomie sia tematiche che nella scelta e nell’elaborazione delle canzoni. L’unica possibilità di riscontro sono suoi sommari accenni in rade interviste e qualche occasionale nuova composizione presentata in concerto. Dobbiamo quindi partire per forza dal nucleo di ben centocinquanta canzoni, non si sa fino a che punto pensate, suonate, completate con testo e musica, infine registrate, su cui Gabriel è andato a intervenire nel corso del tempo per giungere al risultato finale.

Erano centotrenta quelle da cui aveva ricavato la sequenza finale di Up. Nel 2005, disse a Rolling Stone, erano diventate appunto centocinquanta. Ci stava lavorando con il percussionista Ged Lynch e il tecnico del suono Richard Chappell.

Tanta acqua è passata sotto i ponti e l’artista è ritornato su i/o, con dichiarazioni pubbliche, nel 2013 e l’anno dopo. Disse di aver selezionato venti canzoni che stava perfezionando. Qualcuna in seguito ricompresa in i/o esordì in concerto, negli anni seguenti, con un titolo diverso dall’attuale. Ma fino al ‘19, quando riprese a lavorare al disco, la sua principale occupazione fu prendersi cura della seconda moglie Meabh Flynn, affetta da un’importante malattia.

Nel luglio 2020 Gabriel dichiarò di aver rallentato a causa della pandemia, ma di avere abbastanza canzoni per fare un disco del quale sentirsi orgoglioso. Tra il settembre e l’ottobre dell’anno dopo, nei suoi studi Real World insieme ai fidati musicisti David Rhodes, chitarra, Ton Levin, basso, Manu Katché, batteria e percussioni, iniziò le registrazioni di ventitré canzoni: da esse furono estratte le dodici che compongono i/o. Nel giugno ’22, Katché disse che l’album era quasi terminato.

La luna piena e i mix dei lati buio e luminoso di i/o

Il ’23 è (stato) l’anno del cinquantennale di The Dark Side of the Moon dei Pink Floyd, probabilmente il disco più iconico per la generazione degli artisti pop e rock di cui Peter Gabriel, settantatré anni, è tra i principali esponenti. L’artista, seguace della psicomagia di Alejandro Jodorowsky, è notoriamente attratto dalle fasi lunari. Ecco quindi, nell’anno della Luna come attrazione creativa e nell’epoca delle canzoni rese fruibili e acquistabili una ad una tramite internet per la scarsa propensione al loro ascolto nella successione d’un intero disco, la trovata originale: pubblicarle, progressivamente, nelle notti di plenilunio.

Attendere la Luna piena, come i licantropi, per ascoltare una nuova canzone di Peter Gabriel, è diventato un appuntamento per quasi tutto l’anno. Precisamente il 7 gennaio (Panopticom), il 5 febbraio (Playing for Time), il 7 marzo (The Court), il 6 aprile (Four Kind of Horses), il 5 maggio (la titletrack i/o), il 4 giugno (Love Can Heal), il 3 luglio (Road to Joy), il 1 e il 31 agosto (So Much e Olive Tree), il 29 settembre (This Is Home), il 28 ottobre (And Still), il 27 novembre (Live and Let Live).

Altra trovata ispirata alla Luna, il doppio mixaggio definito Bright Size (lato luminoso) e Dark Side (lato buio) a cura di Mark “Spike” Stent e Tchad Blake, due tra i migliori tecnici al mondo nel genere. La soluzione raddoppia la spesa per i/o, dovendosi procurare due dischi con le stesse canzoni se non ci si accontenta di una delle versioni. C’è un terzo rimescolamento: l’In-Side mix, curato da Hans Martin Buff con la tecnologia cosiddetta tridimensionale Dolby Atmos. Il box set, la cui pubblicazione è prevista l’8 marzo prossimo al modico costo di 136 sterline, le contiene tutte. In aggiunta, versioni demo in precedenza proposte su Bandcamp e ascoltabili grazie a un abbonamento da tre sterline al mese.Ultima genialata: ogni canzone è stata dotata di un artwork creato appositamente da artisti di fama mondiale nelle arti figurative, soluzione già sperimentata in album precedenti.

E alla fine l’output non sempre soddisfa l’input

Chi ascoltasse i/o senza aver mai sentito nulla dei dischi precedenti di Peter Gabriel lo troverebbe bellissimo, oltre che prezioso per i motivi che ho detto all’inizio. C’è poi una pletora di musicisti notevoli oltre al trio Rhodes, Levin, Katché, primo fra tutti Brian Eno, che contribuisce a elaborare sonorità di grande qualità che avvolgono abilmente canzoni in genere piacevoli, per di più cantate in maniera impeccabile da un uomo che non è più giovane. L’ascoltatore smaliziato, però, non fatica, e non per perfidia ma per amore, ad accorgersi di quello che non va.

Prendiamo, ad esempio, Road to Joy, introdotta dalla tipica tastierina elettronica svolazzante alla Eno: mi sbaglio se penso a Kiss that Frog su Us, 1992, che a sua volta faceva venire in mente il remix di I Have the Touch di nove anni prima, il cui andamento saltellante conteneva richiami addirittura al primo singolo da classifica dei Genesis, I Know What I Like in Your Wardrobe nell’album indimenticabile Selling England by the Pound del quale, a settembre, si sono celebrati i cinquant’anni?

Intendiamoci: c’è una composizione come And Still, il momento più intenso dell’album, dedicata al ricordo fantasmatico della madre, che sembra un ammaliante raduno di spiriti buoni capaci di elevare la mente e il cuore, con preziosi intarsi orchestrali che altrove nel disco ricorrono con altrettanta grazia. Un gradino sotto, la poesia minimale di Love Can Heal. Pregevoli anche le ritmate The Court e Four Kind of Horses, significativa Playing for Time. Dove invece è in agguato la stanchezza è nel rincorrere gioie corali africane e soluzioni ritmiche del passato che rappresentano un passo indietro rispetto a certa sublime mestizia elettronica che, già ventun anni fa, ne aveva preso il posto in Up.

Nel sito internet Petergabriel.com, che suggerisco agli appassionati perché troveranno molte notizie interessanti sul processo creativo per arrivare a i/o, a un certo punto si legge: “L’attesa è valsa ogni minuto”. Non è vero. Non lo è oggettivamente, anche se potrebbe esserlo per coloro che non possono fare a meno di questa musica. Gli appassionati laici accolgono invece le nuove canzoni, senza sottovalutarne la gradevolezza, per quello che sono: la sintesi d’un percorso artistico dove il genio e la passione incontrano, a questo punto della vicenda umana e artistica d’un grande artista, un rallentamento inevitabile dell’ispirazione e della ricerca.

P.S. Israele/Palestina:2 novembre 2023

Il percorso creativo di Peter Gabriel non può essere separato dall’impegno civile. L’artista, che nel recente passato aveva difeso Roger Waters dalle indegne accuse di antisemitismo, un mese fa è intervenuto sulla vicenda del tremendo conflitto tra israeliani e palestinesi con una nota sul suo sito internet. Eccola integralmente.

“La terribile sofferenza del popolo palestinese, il continuo avanzamento degli insediamenti illegali e le condizioni di apartheid in cui vive, sono questioni di cui sono stato spesso disposto a parlare apertamente e a sostenere la loro condanna internazionale. Tuttavia, gli attacchi terroristici brutali e disumani di Hamas il 7 ottobre contro il popolo israeliano ed ebraico hanno sbalordito il mondo e sono stati giustamente condannati.

È stato davvero scioccante vedere una ferocia terroristica così deliberata e premeditata. Ma la risposta a una serie di crimini con un’altra non può mai essere la giusta linea d’azione. La lotta per i diritti umani è ciò per cui ho lavorato per gran parte della mia vita e questo vale tanto per gli ebrei quanto per i palestinesi. I diritti possono avere significato solo se sono uguali per tutte le persone, come definito nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani 75 anni fa.

La terribile storia di sofferenza e razzismo del popolo ebraico non sarà dimenticata, né il ruolo che gli ebrei hanno svolto nella battaglia per i diritti umani e i diritti civili in tutto il mondo. Condanno assolutamente qualsiasi attacco antisemita.

Allo stesso tempo, dobbiamo essere tutti liberi di criticare qualsiasi governo che ignori il diritto internazionale o commetta crimini di guerra e, poiché la risposta di Israele all’attacco del 7 ottobre diventa sempre più pesante ed eccessiva, causando sempre più vittime civili, dobbiamo dirlo.

La pace si realizza solo quando i diritti umani di tutti vengono rispettati, e questo deve essere ciò per cui ci battiamo”.

Peter Gabriel – i/o   
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Pietro Andrea Annicelli è nato il giorno in cui Paul McCartney, a San Francisco, fece ascoltare Sergeant Pepper’s ai Jefferson Airplane. S’interessa di storia del pop e del rock, ascolta buona musica, gli piacciono le cose curiose.

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