Rita Tekeyan - Green Line

Da Beirut all’Italia: i molti linguaggi di Rita Tekeyan – Green Line.

Il cuore pulsante dell’album di Rita Tekeyan (Green Line, per la Seahorse Recordings), nata a Beirut ed i cui nonni scamparono al genocidio armeno, batte nel ricordo e nella volontà di non dimenticare le proprie radici e, soprattutto, nel farle conoscere alle generazioni che della nazione che lo subì non sanno assolutamente nulla. Quindi musica come strumento anche di approfondimento e divulgazione, compito non facile ed oggi sempre più trascurato. La percezione che nella voce e nella musica della giovane artista, ad oggi residente nel nostro stivale (che si presenta al pubblico come una minuta bambola di porcellana oscura ma che, attraverso la musica di cui è autrice ed esecutrice con un pianismo colto, si fa portatrice di luci sconosciute), siano contenuti secoli di culture, suggestioni e influenze multietniche, figlie di un bacino metagenealogico foriero di una espressione artistica estremamente complessa ma con una notevole potenza comunicativa, aleggia durante tutto l’ascolto dell’opera.

Fuori dagli stereotipi musicali

È un disco molto particolare questo Green Line. Difficile trovargli una collocazione nota. Alle mie orecchie la voce di Rita assume incarnazioni e costumi diversi a seconda del significato anche di una singola parola cantata; si può affermare di sentire inflessioni di Kate Bush ma io ci sento, a tratti, uno spirito vicino alla poetica di Diamanda Galas, una ricerca a tratti vicina al teatro-canzone persino mitteleuropeo in alcune declamazioni dove l’utilizzo di un volutamente infantile birignao pone interrogativi che richiamano l’attenzione dell’ascoltatore non solo sui suoni, per altro estremamente curati nella loro estetica feng shui che gioca più sul sottrarre che aggiungere , gran dote sempre più rara.

Un disco in crescendo

L’album inizia con l’inquietante annuncio che apre B.L. Express, uno scarno pianoforte e le prime emissioni vocali educate, poi il viaggio inizia e piccole esplosioni sonore che vengono dal medio oriente accompagnano un ritornello spiraliforme che si chiude con una vocalizzazione davvero riuscita. Si prosegue con sapiente utilizzo di archi con Foret Noire, altra contagiosa melodia, altri salti pindarici mascherati da un timido understatement delle parole cantate. Saliamo su altri tetti con Rofftops, introdotta da una forma di reading e cadenzata come una liturgia laica. Abri posa di nuovo le sue melodie su un contesto scarno ma efficace, tetti, come dice il testo, di cemento rinforzato e grandi passaggi geografici nell’arco di una sola canzone. Nora’s Tree è di nuovo testimonianza diretta del conflitto bellico narrata dal punto di vista di un innocente. Deve essere interessante vederla eseguire dal vivo per coglierne il coinvolgimento emotivo dell’artista. L’ossessione d’amore si manifesta in Devil’s OB, una antipreghiera; e in Your Sin ci si lascia andare lentamente in suggestioni sensuali e al tempo stesso pregne di carnalità, strumentazione al minimo per aumentare il potere delle parole.

Dalla musica alla produzione, tutto funziona bene in Rita Tekeyan – Green Line

Weight Of Pain affida ad una tastiera sintetica e ad archi lontanissimi una supplichevole richiesta di perdono e sofferta attesa di un ritorno che non si sa se sarà esaudita, musicalmente siamo in territorio Crammed Disc, suoni che in questo momento stanno davvero tornando nei nuovi artisti. La lunga digressione di DK è realmente vicina a chi della voce ha fatto strumento, si ci può immaginare il suo realizzarsi in uno sperduto cabaret nascosto agli occhi delle truppe occupanti.  Y è direttamente ispirata alle memorie del nonno dell’artista intitolate The Tragedy Of Armenians in Behesni, e contiene descrizioni davvero impressionanti di chi del genocidio fu testimone diretto, un omaggio necessario.

 

White Angel è marziale nell’inceder percussivo e accompagna con intensità all’ultimo brano, la title track Green Line che mantenendo la coerenza con l’intero lavoro lascia un ennesimo ritornello che si ripete a lungo anche a fine ascolto nelle mie orecchie. Concludo segnalando che la produzione artistica di Paolo Messere, fondatore e anima della Seahorse Recordings, ammanta il lavoro Rita Tekeyan – Green Line di suggestioni  a tratti vicine ai suoni 4AD, elemento che non mancherà di essere riconosciuto dalle orecchie più attente. Direi che l’anno 2021 musicalemente si è chiuso bene a differenza del resto…

Rita Tekeyan - Green Line
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Collaboratore per testate storiche (Rockerilla, Rumore, Blow Up) è detestato dai musicisti che recensisce e dai critici che non sono d'accordo con lui e che , invece, i musicisti adorano.

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