Geese – Projector: un buon esordio per l’ennesima band post…
Oggi parlare di rock è sempre più complicato. Da chi ci suggerisce di cambiare nome (perché ci chiamiamo Tomtomrock se recensiamo anche rap o dance?) a chi si/ci chiede che cos’è il rock o il post- rock o il post- punk (esiste anche la post-disco). E chi più ne ha più ne aggiunga. Faremo un tutorial per chiarire. Quando? Quando avremo le idee più chiare anche noi, o almeno chi sta scrivendo dopo decenni di confidenza e rapporti intensi a più livelli con la “musica”.
Che genere di musica fanno i Geese?
Forse l’ansia definitoria andrebbe messa da parte dal momento che le stesse definizioni si trovano in un periodo in cui stanno strette ovunque. Oggi i confini sono porosi in qualunque ambito. Non stiamo parlando solo di musica. Basta pensare all’identità, all’appartenenza o alla fluidità di genere. Detto questo procediamo a parlare degli ennesimi responsabili di un dibattito aperto e, perché no, stimolante. Signore e signori ecco a voi i Geese! E divertitevi a vedere quanto sono post-punk, post-rock o altro perché la neonata band newyorkese riesce a confondere le idee in maniera eccellente grazie alla produzione di un genio del “post”. Il deus ex machina in questione è Dan Carey, proprio quello di Fontaines D.C., Squid, Goat Girls, Grimes, La Roux. La lista è lunga e di livello (e Tomtomrock ha recensito TUTTO). L’etichetta con cui i Geese hanno firmato è la Partisan, pure lei sempre infallibile negli ultimi tempi: Idles, Cigarettes After Sex e, ancora una volta, Fountaines D.C. (Anche qui li abbiamo recensiti TUTTI – come vedete non pensiamo solo al rap.)
Suoni e canzoni di Geese – Projector
Detto questo, Projector (Partisan/PIAS) è un bel disco. La prima parte si compatta in una comfort zone facilmente identificabile; sì forse “post-punk” qui ci sta. Cameron Winter è un ottimo cantante e le armonie stracciate, accompagnate da una sezione ritmica ossessiva e variegata, affascinano al primo ascolto. Le cose si complicano, piacevolmente, giunti a metà lavoro, quando il singolo Disco spiazza e scompagina il tutto con sette minuti di groove danzerecci che non sembra vogliano giungere alla conclusione. Da qui in poi le sorprese non mancano e i ragazzi si divertono proprio giocare a “indovina a chi sto pensando?”. Nella title-track forse a David Byrne, ma fanno capolino anche i primi Franz Ferdinand.
L’accostamento ai fratellini d’oltreoceano, gli Squid, sorge spontaneo e con la conclusiva Opportunity Is Knocking si torna indietro, ma non troppo, per rianimare atmosfere à la Strokes. Un altro piatto familiare e nello stesso tempo atipico è servito. Il risultato è più che soddisfacente e se qua e là si intravede un qualcosa di non perfettamente sagomato ci auguriamo che sia solo dovuto alla giovane età della band.
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