Sinkane, band multietnica e dépaysé.
Il titolo dell’album, Dépaysé, è un termine francese che potremmo tradurre come spaesato, indicando con questo l’essere lontano dalle proprie radici, ma anche, come suggerisce Ahmed Gallab, leader della band Sinkane, come ‘essere rimosso dal proprio ambiente abituale’. Il titolo allude alla biografia dello stesso Ahmed Gallab. Di famiglia sudanese, lascia il suo paese all’età di cinque anni insieme ai genitori per sfuggire al golpe militare e trova rifugio negli Stati Uniti, dove vive la condizione di chi è guardato con sospetto e sente la frustrazione di essere appunto dépaysé: «sono nero, musulmano e, anche se sono americano, mi sento spesso come uno straniero nel mio paese».
Una tematica che in modo più o meno evidente ha percorso anche i sei lavori precedenti di Sinkane. E non potrebbe essere altrimenti visto il carattere davvero multietnico della band che vede in formazione musicisti provenienti dalla Cina, il chitarrista Jonny Lam, dalle Filippine, la tastierista Elenna Canlas, da Trinidad, il batterista Chris St. Hilaire, e il bassista afroamericano Michael “Ish” Montgomery.
Sinkane – Dépaysé fra Occidente e Africa
Dépaysé guarda alla condizione delle minoranze nell’era di Trump. Un momento duro e difficile, ma che personalmente Gallab ha superato giungendo all’accettazione della sua duplice identità, quella sudanese e quella americana. Che è poi il tema della title track, una delle più convincenti dell’album, la cui atmosfera psichedelica e sognante si sposa con sonorità orientali che omaggiano il periodo d’oro della musica sudanese. Khartoum è stato infatti uno dei centri musicali più vitali dell’Africa orientale. Nel periodo fra la fine del colonialismo e l’indipendenza fiorivano le band e i locali, dando vita a una scena musicale che fondeva tradizione, funk, ritmi afro e influenze occidentali. Oggi per fortuna l’opera di recupero di questo materiale fatto da importanti etichette ce lo ha fatto conoscere e apprezzare. Qui mi limito a consigliare la meravigliosa compilation Two Niles to Sing a Melody. Violins & Synths of Sudan della Ostinato Records.
Le canzoni di Dépaysé
Le nove tracce dell’album miscelano le influenze della musica sudanese, quella che faceva ballare nelle notti di Khartoum, con varie declinazioni black, soul, jazz, funk, reggae, rhythm’n’blues. Ne viene fuori un album pieno di ritmo ed energia, con un’atmosfera gioiosa e brillante. Complici anche arrangiamenti molto ricchi e pieni, a volte perfino debordanti, come accade nelle prime due tracce Everybody ed Everyone, un dittico a favore dell’integrazione pur nella diversità culturale ed etnica. La prima è un afrorock debitore alle bande black dei primi 70. La seconda ha le cadenze del blues polveroso e desertico.
Con On Being ci si orienta verso il reggae, mentre Ya Sudan è il brano che più sembra uscito dagli anni 70 sudanesi, sia nel modo di cantare sia in quella particolare forma di funk rallentato e ipnotico che si sviluppò lungo quelle latitudini. Stranger, il cui testo tratta di differenze religiose e della difficoltà di vivere in un paese straniero, è invece debitore dell’afrobeat con una bella chitarra fuzz in evidenza. Fra richiami a Sly & the Family Stone, a Fela Kuti o alla somala Dur Dur Band e lampi fugaci di psichedelia il disco è opera convincente e sincera. Il limite, oltre a una certa tendenza a sovraccaricare eccessivamente i brani, è nella voce di Gallab troppo pulita e cristallina. Magari un po’ di grinta e rabbia avrebbero reso più coinvolgente la proposta musicale.
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