Recensione: Solange – A Seat At The TableSaint / COlumbia - 2016
Recensione: Solange – A Seat At The Table
Saint / Columbia – 2016

Molto più che la sorellina di Beyoncé, Solange non è stata prodiga di uscite nella sua carriera. True EP è del 2012 e prima, benché in giro dall’inizio del nuovo millennio, le sue uscite sono state sporadiche. Da tanti indicata come un talento assoluto, la si attendeva insomma a una prova più consistente. Che arriva con questo A Seat At The Table.

A Seat At The Table: un disco ricco di collaborazioni

Da dove cominciare? Magari dalla produzione. Affidata a Raphael Saadiq, alla stessa Solange e a molti altri nomi. Dave Andrew Sitek  dei TV On The Radio e Patrick Wimberly dei Chairlift nel campo indie. Questlove e Q-Tip nel settore hip-hop. Ma ne potremmo citare molti altri. Il risultato è di straordinaria unitarietà, stendendo per la voce di Solange un tappeto di soul-jazz contemporaneo (ossia ricco di influenze indie e hip-hop, come la scelta dei produttori indica) e perfetto.

Anche i collaboratori sono tanti. Sampha presta la sua voce piacevolmente simile a quella di James Blake a Dpon’t Touch My Hair. The-Dream e BJ The Chicago Kid molto bravi sulla bella F.U.B.U., destinata a divenire un inno. Q-Tip su Borderline. Kelela su Scales. Ma molte delle canzoni migliori, come Weary e Cranes In The Sky, hanno unicamente Solange, che se la cava egregiamente.

La collaborazione con Lil’ Wayne

La collaborazione più bella arriva comunque in Mad con il vecchio amico Lil’ Wayne, con un tono sommesso per lui insolito, che si sposa perfettamente con i testi:

“E’ dura quando hai solo fans intorno e nessun amico intorno / E quando ci sono hanno le mani tese per chiedere / O per puntare il dito / Quando indosso questo cazzo di peso sulle spalle come toga e tocco / Poi entro in banca, i pantaloni appesi / E rido dei loro sguardi, per cosa si arrabbiano? / Perché ecco questo stronzo con un enorme conto in banca / Che non indossa toga e tocco / Siete arrabbiati perché il giudice non mi ha dato una pena maggiore da scontare? / O perché quando ho provato a suicidarmi non sono morto? / Ricordo quanto ero arrabbiato quel giorno”.

Solange e Beyoncé

Per due terzi almeno A Seat At The Table funziona perfettamente e ha momenti di bellezza assoluta. In realtà, soltanto verso la fine Junie e Don’t Wish Me Well non sembrano all’altezza di tutto il resto. Poi la lenta Scales chiude bene. Su quasi 52 minuti di durata è un risultato invidiabile. Nemmeno rovinato dai molti skits parlati, quasi uno fra ogni canzone.

Si è letto di un disco che glorifica la donna afroamericana e il suo ruolo nella società. Un po’ come per Lemonade di Beyoncé. Se è vero che testi e interludi spesso richiamano questi temi, la vera riuscita, il vero trionfo sono nella musica. A Seat At The Table è la consacrazione di cui Solange aveva bisogno. Simile a Freetown Sound di Blood Orange (con il quale ha spesso collaborato) per i suoni, ma maggiormente incisivo.

Insomma due dischi eccellenti per le sorelle Knowles nel 2016. Non male per lo score della famiglia

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Mi piace la musica senza confini di genere e ha sempre fatto parte della mia vita. La foto del profilo dice da dove sono partita e le origini non si dimenticano; oggi ascolto molto hip-hop e sono curiosa verso tutte le nuove tendenze. Condividere gli ascolti con gli altri è fondamentale: per questo ho fondato TomTomRock.

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