Ritorna il duo underground di culto: Suicideboys – Stop Staring at the Shadows.
Dopo il primo disco ufficiale I Want to Die in New Orleans (2018) i Suicideboys (o $uicideboy$) proseguono sulla stessa strada con Stop Staring at the Shadows (G*59 / Caroline) mescolando hip-hop del sud, horrorcore, cloud rap e trap, ma con risultati anche migliori. Difficile dire se questo disco li aiuterà a uscire dalla dimensione underground nella quale finora si sono mossi. Con il precedente già notavamo la pressoché totale assenza di recensioni nella stampa mainstream che, nell’epoca del politicamente corretto, evidentemente non vuole promuovere un gruppo che continua a trattare prevalentemente temi di depressione, suicidio, consumo di stupefacenti e violenza. Il che non ha impedito ai cugini Scrim / Scott Arceneaux Jr. e Ruby da Cherry / Aristos Petrou di formarsi un seguito nutrito di fedelissimi che apprezzeranno Stop Staring at the Shadows.
Budd Dwyer produce
Ribadiamo: se I Want to Die in New Orleans era un buon esordio, con Stop Staring at the Shadows i Suicideboys hanno fatto un bel salto di qualità. Il disco è breve, compatto, non conosce momenti di noia e a tratti sfiora l’eccellenza. Alla produzione troviamo sempre Arceneaux con il moniker Budd Dwyer, nome di un politico statunitense accusato di frode che negli anni ’80 si sparò in bocca durante una conferenza stampa in diretta tv.
Stop Staring at the Shadows conferma le qualità dei Suicideboys
Si parte con l’ossessiva All Dogs Go to Heaven dalle influenze trap, ma il meglio arriva con la successiva I Wanna Be Romanticized dove il suono e le melodie vocali di New Orleans, oggi in disuso, vengono recuperate brillantemente dal duo. Arcenaux trova un sample magnifico per [whispers indistinctly], uno dei momenti migliori del disco. L’horror core dell’atmosferica Mega Zaph sicuramente farà felici i fans, mentre Putrid Pride è di nuovo un matrimonio perfetto fra New Orleans e trap contemporanea, nonché un altro dei momenti migliori nonostante il chorus depressivo che recita “As the years go by / Another day closer to death”.
That Just Isn’t Empirically Possible è soul con le melodie vocali di Aristos Petrou in apertura: di nuovo un momento eccellente. Si chiude in bellezza con …And to Those I Love, Thanks for Sticking Around e il suo refrain di “I’ll be dead by dawn”. I Suicideboys restano insomma fedeli alle ragioni che ne hanno decretato il successo iniziale. Così facendo continueranno probabilmente a restare underground e in fondo va bene, c’è bisogno di gruppi come il loro.
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