Swans – The Glowing Man

Michael Gira, gli Swans e l’eccellente The Beggar.

Io e Michael Gira siamo coetanei, a dire il vero sono più anziano di ventidue giorni, e quindi posso capire come ci si senta alla soglia dei settanta anni e come i conti con la morte e con un futuro che appare sempre più come una porzione ridotta di tempo siano un interrogativo che rischia di angosciarti e riempirti di domande in buona parte irrisolte. “Sono pronto a morire?” si chiede Gira in Paradise Is Mine e nel mentre durante questo imponente The Beggar, uscito per la Young God Records, dissemina qui e là citazioni e reminiscenze della sua precedente produzione. A volte appare esausto: come Gassman sembra pensare di avere solo un grande avvenire dietro le spalle. Ed effettivamente la sua figura è davvero quella di un gigante della scena contemporanea che ha segnato profondamente la storia musicale degli ultimi quaranta anni. Così in Michael Is Done profetizza che “Quando Michael se ne sarà andato, ne verrà un altro… Quando l’altro è arrivato, allora Michael ha finito” e la canzone termina con la ripetizione di “Is done”: un mantra inquieto cantato insieme alla figlia.

Michael Gira: un testamento?

I riferimenti alla morte, alla malattia, alla vecchiaia punteggiano tutto il monumentale album, ben due ore di musica, che rappresenta una sorta di testamento musicale e spirituale di Gira, adombrando addirittura che questo possa essere il suo ultimo lavoro. Visti i risultati è da augurarsi che non sia così. Ma è un testamento pieno di dubbi e interrogativi, si guarda indietro e si scopre insicuro, non sa quanto del proprio passato potrà essergli utile e di insegnamento per affrontare l’ultima parte della vita: “When will I finally learn to live? / When do I finally get to live?”, si chiede mestamente nella title track. Il tempo che passa è tiranno e i due anni di inattività per la pandemia hanno acuito il senso di malessere in Gira, e non solo a lui.

Swans – The Beggar: un disco destinato a restare

Perdonate il mio accenno autobiografico dovuto al coinvolgimento emotivo che il disco mi ha dato.  Se mi sono soffermato sui testi, è dovuto al ruolo fondamentale che svolgono nella comprensione di The Beggar: musicalmente, del resto, ancora una volta gli Swans ci danno un disco bellissimo e affascinante, forse solo Gira può riuscire a sfornare un’opera lunga due ore senza procurarci momenti di noia o che sembrano messi lì solo come riempitivo. Un album che si mostra in antitesi con l’effimero e l’usa e getta che pervade il mondo della musica attuale, un disco fatto per restare, per essere riascoltato e meditato nel corso degli anni, capace di esprimere quel malessere che non è solo un fatto individuale, ma coinvolge ormai gran parte della società occidentale.

Ci sono cambiamenti rilevanti nella musica degli Swans

Praticamente sparita la chitarra elettrica, sostituita da due lap steel, nel disco prevale la dimensione acustica e folk a discapito del noise rock. Musicalmente il disco spazia fra atmosfere dark e gotiche, drone music, kraut, industrial, noise, rumorismi dissonanti, percussioni frenetiche, ondeggiamenti elettronici, mantra ipnotici, sabba apocalittici, canti di bambini, spoken words, cori, vocalizzi. Inutile forse soffermarsi sui singoli brani, ma almeno una segnalazione merita la splendida The Beggar Lover (Three), ben 43 minuti in gran parte strumentali in un’atmosfera ipnotica e oscura, con i synth in primo piano e intervallati dallo spoken word della figlia Jennifer, da cori femminili, voci di bambini o dall’irrompere di percussioni industrial. Il brano è assente nella versione in vinile, che ha anche un ordine diverso delle composizioni.

Swans – The Beggar
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Nato nel 54 a Palermo, dal 73 vive a Pisa. Ha scritto di musica e libri per la rivista online Distorsioni, dedicandosi particolarmente alla world music, dopo aver lavorato nel cinema d’essai all’Atelier di Firenze adesso insegna lettere nella scuola media.

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