Swanz The Lonely Cat firma la colonna sonora del Macbeth.
Non è mai facile esprimere un parere su una musica che nasce come colonna sonora di uno spettacolo – film, pièce teatrale o balletto che sia. Anche quando, come in questo caso, si è poi sviluppata in maniera autonoma, il legame con l’occasione originaria è duro a morire; cosa che, sia chiaro, non è affatto un male. Probabilmente è difficile anche perché si oscilla spesso tra la tentazione di stabilire se la musica sia funzionale o meno allo spettacolo che accompagna e quella di “giudicare” se l’ascolto riesca a “reggere” anche autonomamente senza l’ausilio della visione.
Luca Swanz Andriolo fra band e carriera da solista
In questo caso si aggiunge la difficoltà dovuta allo “spiazzamento” volontariamente provocato dall’autore. Finora conoscevamo Luca Swanz Andriolo come frontman e anima dei Dead Cat In A Bag – originalissima band che ha finora prodotto quattro ottimi dischi spesso etichettati come folk noir, di fatto costantemente in bilico tra folk mediterraneo con influenze balcaniche, accenti tex mex e molto altro ancora – e autore di un disco solista di cover “rilette” in maniera personalissima. Alla sua seconda prova in solitario – talmente in solitario che scrive, arrangia, suona, produce, registra e mixa senza altri interventi e con una quasi maniacale ricerca di suoni dei quali è talvolta difficile indovinare la provenienza – Swanz si cimenta con la tragedia shakespeariana e lo fa cambiando completamente la sua precedente “grammatica musicale”.
Swanz The Lonely Cat e le atmosfere del Macbeth
Il disco si compone di due lunghe suite, rispettivamente 28 e 25 minuti circa. La prima, A Walking Shadow – suddivisa in dodici brani che si dipanano senza soluzione di continuità e denunciano il loro legame con le successive tappe della macabra vicenda – richiama nel titolo una delle più celebri frasi del Macbeth e si apre con un lento martellamento percussivo che sembra provenire da bidoni metallici, quasi in puro stile Einstürzende Neubauten prima maniera, che ci porta dritti in un bosco scozzese ad assistere all’incontro tra le tre streghe e ricompare spesso a mo’ di ossessivo leit motiv lungo l’intero brano. Su questo tappeto sonoro si innesta gradualmente il suono anch’esso metallico – e anch’esso scandito lentamente e a mo’ di percussione – di un banjo, forse lo strumento prediletto di Swanz. L’atmosfera è angosciosa, raggiunta attraverso un uso assai funzionale dell’elettronica e a volte come spezzata da nevrotici riff di chitarra distorta, anche se di tanto in tanto l’entrata in scena di un harmonium introduce momenti di grande lirismo. La caratteristica voce di Swanz, che a volte compare recitando brevi brani tratti dalla tragedia o comunque funzionali alla sua trama e al suo più profondo significato, contribuisce ancor più al clima di angoscia che marca tutta la composizione in attesa dell’incombente tragedia.
La seconda parte, Macbeth Suite, si caratterizza per un uso ancora più marcato dell’elettronica e per una sorta di bordone che sembra provenire da un harmonium o da un organo e che, con un andamento quasi “religioso”, crea un’atmosfera di esasperante attesa che troverà il suo preannunciato e inevitabile sbocco nella tragedia finale. Il disco esce insieme al video All Is But Toys (cit. dal Macbeth) che include spezzoni delle due suite.
Influenze passate e presenti
Come anticipato, uno Swanz alla prima impressione piuttosto “spiazzante” e poco “riconoscibile”, eccezion fatta per la voce. Ma, a ben sentire, non siamo poi così lontani da certe atmosfere di uno dei suoi favoriti come Scott Walker o degli Swans: e magari dei Popol Vuh di Aguirre, non a caso anch’esso soundtrack – anche se molto meno “rumoristico” – di un altro dramma della brama di onnipotenza. I paragoni che ci vengono più immediati sono però con l’Hugo Race di Star Death per la seconda parte e con Gianni Maroccolo e il suo progetto multiplo Alone per la prima. E forse non è un caso che Swanz abbia prestato la sua voce proprio ad alcuni brani di Alone 1. Per tornare al dilemma iniziale, il potere evocativo del disco è tale che lo si può benissimo ascoltare da solo, ma forse ascoltarlo mentre si rilegge il Macbeth può – Shakespeare non ce ne voglia – giovare ad entrambi.
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