Bill Ryder-Jones - Iechyd Da

Ritorno sulla carriera di Bill Ryder-Jones in occasione dell’uscita di Iechyd Da

A Bill Ryder-Jones, inglese dei dintorni di Liverpool, l’estro non è mai mancato. Né intellettuale né musicale. Né, a tratti, la bizzarria un po’ contorta dell’intelligenza. Dopo aver animato i Coral ai quali si deve (almeno almeno) un gran bel disco, Magic and Medicine, del 2003, adagiato su una bella e densa nuvola di dub, psichedelia e blues, Bill ha messo la testa alla sua carriera solista. Per chi scrive, con un limite iniziale. Di avercene messa fin troppa, di testa.

Il suo primo lavoro If… (2011) è una immaginaria colonna sonora ispirata al romanzo assai sperimentale di Calvino Se una notte d’inverno un viaggiatore. L’idea, in sé, è già sbagliata: se scrivi colonne sonore immaginarie, o per film mai nati, o da nascere in un futuro ipotetico, devi essere Brian Eno o giù di lì, altrimenti male mi sento. Se la colonna sonora, oltre che essere ispirata a un romanzo sperimentale (per carità, bello) è tutta strumentale e orchestrale, mi sento anche peggio. E infatti, due palle.

Già tutt’altro paio di maniche il successivo A Bad Wind Blows In My Heart, del 2013. Morbido, pianistico, assonnato e a tratti desolatamente ironico, raffinato e intriso di folk. Non manca di cerebralità l’idea, ripresa anche nel lavoro successivo, di creare un concept album sulla propria vita, ma si perdona assai bene questa debolezza, condita com’è di belle canzoni, lievi e dense come nuvole che su stracciano trascinate dal vento. E tanto qui che nel successivo West Kirby Country Primary, per chi scrive appena un po’ meno bello, forse perché un tantino ripetitivo di una formula sperimentata, si apprezza la scelta di sciogliere l’originaria, maledetta vocazione orchestrale in nodi sonori delicati, densi e grumosi.

Verrà poi Yawn (2018), su coordinate musicali non troppo dissimili, e né troppo più bello né troppo più brutto dei precedenti. A Yawn farà seguito, nel 2019, un non necessario Yawny Yawn, che risuona il predecessore in chiave totalmente acustica, nel caso ce ne fossa stato bisogno (e, onestamente, non c’era).

Le linee melodiche di Ryder-Jones, e del suo folk rock impastato dello stupore vaporoso di Nick Drake e dei Velvet Underground più mordidi ed acustici, convincono quasi sempre, ma non variano mai di troppo, nemmeno quando si distendono sotto l’influenza un po’ più scura dell’amato Bill Callahan. Sono godibili e gustose, dense e ricche, ma restano non indimenticabili.

Iechyd Da: un salto di qualità per Bill Ryder-Jones

Con Iechyd Da (Domino Recording 2024), almeno secondo noi, accade qualcosa di nuovo. Di creativamente nuovo e, in parte, inatteso. C’è un salto, uno scarto. Un po’ come se Dante si fosse addormentato stilnovista e risvegliato al mattino autore della Commedia. Bill Ryder-Jones si riconosce e non si riconosce. È lui, ma non è più lui. Il suo folk delicato, melodioso, ma alla lunga risaputo, si incardina su linee melodiche purissime e sapienti. La misura si è fatta assai più colma, i colori più densi e grondanti, e l’antica vocazione orchestrale riemerge rinvigorita da un estro compositivo che non conosce stanchezza.  La sonnolenza vagamente anfetaminica e un po’ letargica che è connaturata alla vena creativa di Bill Ryder-Jones e qui come scossa, più mossa e vibrante. Non c’è un vento teso, ma una salutare brezza di vita, quella sì.

Le canzoni del disco

La canzone che apre Iechyd Da, I Know That It’s Like This, gemma di trasparenze destinate a non svanire, e con essa le splendide ballate, non meno folk che velvettiane, I Hold Something In My Hand e If Tomorrow Starts Without Me, sono il cuore dell’album.

Anche se, per chi scrive, il cuore, quello vero, si inchina davanti a quella luminosa, delicata, corale ballata di risveglio alla vita attraverso l’amore che è We Don’t Need Them; ma anche davanti alla svogliata malinconia, meravigliosamente orchestrata, di It’s Today Again. E non valgono meno le altre canzoni, dalla progressione melodica e ritmica di A Bad Wind Blows In My Heart pt. 3  e Christina alla cullante e pianistica How Beautiful I Am. A voler essere pignoli, e già che ci siamo, perché mai non esserlo, Nothing To Be Done e …And The Sea… ci paiono se non i punti più deboli, che sarebbe un po’ eccessivo, almeno quelli in cui l’ossessione classicistica e orchestrale di Ryder-Jones ulula un po’ troppo forte e si fa troppo pastosa ed invadente. La conclusiva, breve strumentale Nos Da aggiunge assai poco, come quasi ogni brano strumentale che si rispetti, ad un miracoloso equilibrio che, si teme, non sarà facile ripetere.

Bill Ryder-Jones - Iechyd Da
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Ha iniziato ad ascoltare musica nel 1984. Clash, Sex Pistols, Who e Bowie fin da subito i grandi amori. Primo concerto visto: Eric Clapton, 5 novembre 1985, ed a seguire migliaia di ascolti: punk, post punk, glam, country rock, i pertugi più oscuri della psichedelia, i freddi meandri del krautrock e del gotico, la suggestione continua dell’american music. Spiccata e coltivata la propensione per l’estremo e finanche per l’informe, selettive e meditate le concessioni al progressive. L’altra metà del cuore è per i manoscritti, la musica antica e l’opera lirica. Tutt’altro che un critico musicale, arriva alla scrittura rock dalla saggistica filologica. Traduce Rimbaud.

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