Chi si ricorda dei neozelandesi The Chills?

Premessa necessaria: io i Chills me li ricordo di nome ma, sinceramente, non me li ricordo di musica… Questo però mi consente di scrivere una recensione completamente scevra di dietrologia paragonara e di, se servisse, rimpiangere antichi fasti, dunque orecchie vergini e via. Snow Bound è il secondo album realizzato dopo l’ennesima reunion, il primo, Silver Bullets del 2015, arrivava dopo 19 anni. Ok, questo l’ho letto…
Snow Bound: ascolto senza inutili paragoni con il passato
Ricomincio: Snow Bound è un disco di piacevole ascolto di questa band che si chiama The Chills, onestissimo pop rock con qualche ascendenza wave, a tratti mi par di udire Echo e i coniglietti, però in forma assolutamente personale. Si sente, indubbiamente (e pure questo l’ho letto…) che sono neozelandesi e questo perché, sarà anche un’impressione di settembre, folate di brina negli arrangiamenti ammantano l’intera opera (e queste le ho sentite, non le ho lette).
Le canzoni di Snow Bound
La partenza è senza dubbio di gradevole ascolto, puro pop questa Bad Sugar che rimane appiccicata alle orecchie come zucchero filato, Time to Atone ha persino qualcosa degli ultimi Talking Heads nella metrica del refrain, The Greatest Guide ha invece una progressione celtica; già, si vede che qualche avo… Scarred si snoda su una tastierina vintage psichedelica e tanti jinglejangle (ops…), con Complex siamo in zona eighties, ricordate l’epicità del periodo stadiaiolo, simpatica e furba.
Il pop perfetto di The Chills
Deep Belief è il lentone che ci si aspetta dopo tanti ritmi sostenuti, l’attimo di respiro o l’ora d’aria, dipende dai gusti e dalle esperienze per poi riprendere la corsa con Lord of All I Survey. Sarò solo io che ci sento ancora cadenze albioniche? La title track Snow Bound è perfetta, tutto quello che avreste voluto sentire nel pop nel 2018 e che non avete mai osato chiedere.
Ci si avvicina alla conclusione con Eazy Peazy, che dire…forse un po’ più debole del resto del set, ma con In Harmony si chiude davvero in bellezza e per 33 minuti di durata ecco che forse ho ascoltato uno dei lavori più freschi degli ultimi tempi. Sarà forse colpa del clima?
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