The Feelies - Some Kinda Love

I Feelies ricordano i maestri di gioventù Velvet Underground (e anche se stessi da giovani).

Simpatici guasconi gli inossidabili Feelies che tanto movettero a ritmi folli agli albori della wave americana e che oggi ricicciano fuori omaggiando, tra l’altro nel periodo della ricorrenza della dipartita del good ole Lou dieci anni orson, buona parte del catalogo canzonistico dei mai dimenticati ma al loro tempo poco considerati Velvet Underground.

L’occasione fornita da Some Kinda Love: Performing The Music Of The Velvet Underground è ghiotta anche perché le versioni sono rigorosamente prese dai live della band e quindi il palesarsi nel set delle parole metropolitane di Reed funge da incursione devota ed, evidentemente, da eoni perseguita.

Il repertorio tutto velvettiano di Some Kinda Love

Ovviamente l’attacco non può che essere quella Sunday Morning che era illusorio incipit del primo album con la famosa banana warholiana in copertina (io ho l’edizione sbucciabile, sotto è rosa… birbante di un Andy), illusorio in quanto chi ha una certa ricorderà che quando si andava a comprar dischi (oggi si comprano vinili e il senso è diverso, chi sa sa) si chiedeva di ascoltare un pezzo e, generalmente, il discaio metteva il primo, motivo per cui il geniaccio della Factory (non quella albionica venuta dopo) fece iniziare l’album con la dolce nenia che veniva poi seguita da Sacher Von Masoch, eroine non garibaldine, feste del domani e canzoni che ancor oggi provocano goosebumps sempre inediti. La versione dei Feelies mantiene sia il fascino originale che una nota di indolenza nel cantato che ne fanno un ottimo inizio.

Who Loves the Sun, ossia i Velvet senza Cale, rieccheggia un flower power che, già all’epoca, era parodia, mood perfettamente riprodotto anche qui, e poi There She Goes Again fatta quasi come fosse una imitazione del Lou, la meravigliosa progressione kraut di What Goes On, la viziosa Sweet Jane riproposta come un incrocio tra la versione velvettiana e quella del Lou solista, che mai la rifece uguale manco una volta, per poi passare alla meno nota ma protopunk Head Held High e qui addirittura la voce pare quella di Iggy…

I’m Waiting for the Man svetta nella sua urbanissima contemporaneità – ahimè, ancora tanti lo aspettano. Bisogna ammettere che i Feelies hanno un tiro ancora invidiabile considerato che son in giro dal 1976 e che molti venuti dopo son già spompati da mo’, e infatti la loro White Heat White Light riprende la nevrastenia compulsiva del loro primo lavoro, I Heard Her Call My Name svetta con tipica furia Loureedica dopodiché si approda sui lidi lisergici alla celluloide di New Age.

Il divertente protocountry  di That’s the Story of My Life dimostra quanto la materia sia nota alla band prima di arrivare alla cerimonia definitiva di All Tomorrow’s Parties, mantrico rituale uroborico  infinito, madre di tutti i loops.

Stai fermo se ci riesci quando parte Rock’n’Roll, certo che ste canzoni hanno ancora una potenza… e infatti We’re Gonna Have A Real Good Time Together picchia ancora e ancora, Run Run Run è una rincorsa a perdifiato, forse la cosa che più è personalizzata in questo omaggio.

I Can’t Stand it è di nuovo evocazione purissima della voce di Reed così come la rendition di Afterhours affidata a voce femminile come nell’originale della inossidabile Maureen, mentre la lazyness di Oh Sweet Nuthin’  chiude questo lavoro come il ritrarsi delle onde del mar.

Dicevamo, i Feelies si confermano atemporali come queste canzoni, credo che up in heaven or down in hell qualcuno di cuoio vestito un mezzo sorriso lo abbia accennato, ora però li si attende per un lavoro loro che è da mo’ che si fan desiderar.

The Feelies - Some Kinda Love: Performing The Music Of The Velvet Underground
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Collaboratore per testate storiche (Rockerilla, Rumore, Blow Up) è detestato dai musicisti che recensisce e dai critici che non sono d'accordo con lui e che , invece, i musicisti adorano.

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