Conor O’Brien/Villagers gioca a complicare le sue canzoni.
Cantautore delicato e malinconico, Conor O’Brien ha prodotto, sotto lo pseudonimo di Villagers, una manciata di dischi sempre un po’ algidi ed autunnali. Questa volta, quindi, si presenta allo scoccare della stagione giusta. Il sole brilla ancora caldo, ma la stagione delle foglie morte incombe, la vendemmia è finita e le scuole sono iniziate…
L’ultimo lavoro del trentaquattrenne irlandese è stato Where Have You Been All My Life?, un profondo remake di alcune canzoni dal suo disco più complesso, Darling Arithmetic (2015). Nella nuova versione le le canzoni venivano spogliate e riarrangiate per un piccolo gruppo di musicisti – un’operazione forse superflua, ma di buon gusto e con un paio di inediti interessanti.
The Art Of Pretending To Swim e le sue stranezze elettroniche
Nel nuovo The Art Of Pretending To Swim O’Brien si lancia con convinzione alla ricerca di nuovi ambienti sonori. L’essenza delle canzoni cambia poco, anzi pochissimo, però i suoni si presentano subito diversi, con l’impiego inedito di basi e congegni elettronici. All’inizio c’è semplicemente un beat metronomico, poi succede di tutto: sintetizzatori analogici, azzardati suoni digitali, campionamenti hip-hop e ritmi da club che sembrano rubati agli Everything But The Girl più discotecari.
Villagers: l’arte della sperimentazione rassicurante
Ma, ascoltando bene, le canzoni seguono in realtà il solito filone intimista. Dove la componente sintetica è meno significativa ci sono archi fulgidi o dissonanti come nella bella sequenza finale costituita da Hold Me Down e Ada, brani che sembrano ritornare ad una dimensione più consueta. Si può azzardare che il nostro Conor, come sembra suggerire il titolo, intendesse nuotare come un pesce tra le righe delle sue canzoni, inserendo qua e là elementi estranei o di disturbo, magari giocando con le nuove tecnologie disponibili in studio.
Considerando che O’Brien ha anche prodotto il disco da sé, la missione sembra riuscita in pieno, almeno nell’ottica di un disco un po’ sperimentale ma rassicurante.
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