di Luca Valerio
Nel momento in cui si ascolta per la prima volta il nuovo cd dei Sigur Ros, si resta sorpresi, forse annichiliti. Chi li segue, a partire dal 1999 (anche se Von, ricordiamolo, è del 1997), non avrebbe saputo dare, di loro, una definizione certa, se non quella di ONIRICI. Stavolta è diverso. Kveikur è l’album della svolta, che, in parte, può somigliare a una normalizzazione, in parte semplicemente, al ritorno al futuro. Ad una sonorità più rock. Ciò dipende, probabilmente, dall’uscita dal gruppo del tastierista storico, Kjartan Sveinsson, non è dato a sapersi se più o meno morbida. Il terzetto, forse, ha sentito l’urgenza di pubblicare un album a solo un anno di distanza dal transitorio Valtari, dove, come in Með Suð Í Eyrum Við Spilum Endalaust, non si sente la “cattiveria” qui presente. Così, i folletti islandesi, si sono autoprodotti il cd. Godibile. Non si ha più, però, la totale rarefazione che siamo abituati a sentire, a partire da Ágætis Byrjun, né la riduzione al semantema essenziale di (). È differente il sound: è come se ci si svegliasse dal sogno, come se si uscisse da quella dimensione che ricordava i film di Greeneway. Sono più brevi i brani che, tranne quello introduttivo, durano cinque minuti di media. Si sente il prevalere delle chitarre, dei muri di suono, di loop comunque non scontati. Le percussioni sono incalzanti. Il disco somiglia, in qualche maniera al sound degli Smashing Pumpins. Si sente molto l’influsso di Jonsi, in grande forma vocale, e del disco, Go, che ha pubblicato nel 2010, dalle forti sonorità elettriche. I Sigur avevano bisogno di ringiovanire. In qualche maniera, in quella che csorprende di più, l’han fatto: il post rock è diventato aggressivo, i geyser spruzzanti e il nu gaze, in qualche maniera. si intreccia con le sonorità mitteleuropee.
7/10
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Sigur Rós – Brennisteinn