timber timbre hot dreams

timber timbre hot dreams

di Antonio Vivaldi

Nel 2011 Creep On Creepin’ On dei Timber Timbre era piaciuto per la poetica dei grandi spazi cupi, per le dissonanti-dissocianti brecce strumentali aperte dai sassofoni di Colin Stetson e, non da ultimo, per la scelta offerta fra quattro diversi colori di copertina.

Tre anni dopo, Hot Dreams sembra intenzionato a portare l’ensemble canadese nell’empireo del mainstream indie (un ossimoro per tempi sonicamente mutevoli). Dunque si ascoltano qui echi di Nick Cave, Tindersticks, Bill Callahan, Triffids, Lambchop e si visualizzano luci lynchiane in una scenografia che ora privilegia interni punteggiati di sparsi arredi ora si trasferisce in spogli parchi urbani.

Le canzoni sono più ampie e meno visionarie di prima. Banalmente le si può definire come ballate noir, almeno in apparenza più a suggestionare (nel senso del “se hai paura stringiti a me”) che a spaventare sul serio. Composto dal leader Taylor Kirk durante un soggiorno al di-nuovo-trendy Laurel Canyon, Hot Dreams non è memorabile nelle strutture melodiche, però è credibile nelle sue ansie patinate e nelle sue situazioni sospese in cui ogni soluzione definitiva è rimandata a un nebuloso domani.

7/10

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