tom jones 2015

tom jones 2015

di Flavia Ferretti 

Con Long Lost Suitcase  Tom Jones   conferma la saggezza sopraggiunta e una sapiente moderazione messa a servizio di quella voce possente ricevuta in dono, finalmente addomesticata a registri meno enfatici e muscolari e meno ammantati di grandeur.  E grandeur è stata sotto molti profili, incluso quello squisitamente musicale con hit tonanti e sexy quali What’s New, Pussicat? e Delilah e una regale permanenza a Las Vegas (e come non ricordare l’epica chiusura di My Way, cover dal repertorio di Sinatra: la sua versione sarebbe stata il perfetto contraltare di Rosella O’Hara nell’inquadratura finale di Via Col Vento). Fu amico  di Elvis, con il quale si divertiva a gareggiare a chi manteneva gli acuti più a lungo – e immaginiamo pure il giro infernale delle girls intorno,  essendo i due entrambi  appetibili  manzi all’epoca. Elvis, amico troppo ingombrante, ma battuto almeno in longevità. Non dimentichiamo infine il profilo più “basso corporale”, il testosterone che spettinava  le fans: mia madre all’epoca aveva un paio di  45 giri del bel Tom e si  ballavano le sue canzoni in cucina tenendo per mano  la sorella piccola.

Tom Jones 2

                                                                                               foto: Harry Borden

Le foto promozionali del disco (il terzo di una trilogia che recupera le radici e influenze musicali blues-soul del nostro) restituiscono l’immagine di un uomo a 75 anni sempre fascinoso e di fiero sguardo; immaginiamo si sia più commosso che divertito  a incidere questo lavoro con la granitica voce che il passare degli anni non ha intaccato e che in alcuni brani si dispiega ancora come un ruggito;  questo significa che si può essere rocker  a 70 anni suonati a dispetto di quanto sostengono gli  Who in My Generation: macché,  qui si canta alla grande con leggerezza  e intensità. Siamo ben lontani dal cazzaro Reload (1999), peraltro godibilissimo e testimone della duttilità di questa grande voce. Long Lost Suitcase  è invece  un lavoro ispirato che prima sorprende per i motivi sopracitati, poi conquista in alcuni intensi passaggi proprio quando la voce si fa più rotta e paradossalmente scarna nella sua nudità; citiamo ad esempio il brano di apertura Opportunity To Cry di Willie Nelson,  su cui Sir Tom intesse un’interpretazione desolata e perfetta; o ancora Honey Honey in duetto con Imelda May, uptempo di pregevole grazia; prosegue il blues più convenzionale di Take My Love con la possente interpretazione che, ricordiamo, è la sua firma vocale. Il disco prosegue con la sensuale Bring It Home, passionale con moderazione, tra rallentamenti e sussurri da crooner di razza allacciati a un giro di accordi di chitarra  del Delta incisivi e puliti; il disco risale di beat con Everybody Loves A Train che conduce ad uno dei vertici del disco, Elvis Presley Blues,  song di Gillian Welsch commovente  e lirica,  riverberata solo da un tremolo di chitarra che aggiunge pathos alle parole scandite come una preghiera: “Stavo pensando quella notte ad Elvis,  al giorno in cui è morto, era solo un ragazzo impomatato che indossava la camicia fatta da sua madre, si buttò nella mischia e infiammò l’aria come una ballerina di fila, un vagabondo alla fine della  notte , come una regina di Harlem, come non avevi visto prima mai, mai, mai”. Notevoli pure He Was A Friend Of Mine, toccante senza sbavature, buone comunque anche  le tracce di interpretazione più convenzionale Factory Girl e I Wish I Could (peccato per un retrogusto insinuante sapori “Doors”) e Why Don’t’ You Love Me, rendition di Hank Williams in un folk fresco e netto,  con pochi strumenti. Dunque un disco davvero pregevole e il baronetto Tom Jones si merita il nostro plauso;  in questo disco scorre tutto  il suo grande amore per questa musica  e per la musica che mantiene giovani e scintillanti. E bravo Tom.

8/10

httpv://www.youtube.com/watch?v=COYnl5CK0iw 

Elvis Presley Blues (Later with… Jools Holland)

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