Ones And Sixes conferma la grandiosità problematica dei Low.
I Low sono un nome importante del rock americano, creano dischi al tempo stesso grandiosi e spogli come le cattedrali del primo gotico e, al pari di queste, suscitano emozione e timore reverenziale. Eppure il trio di Duluth sembra sempre fermarsi a un passo dall’assoluto, un po’ perché l’assoluto è cosa proibita e soprattutto perché c’è in loro troppo controllo. Non a caso Alan Sparhawk, leader del gruppo insieme alla moglie Mimi Parker, descrive questo Ones And Sixes come “uno sforzo organizzato per creare casualità e/o caos”.
Dopo due lavori un po’ meno plumbei del solito quali C’mon e The Invisible Way, Ones and Sixes disco si affida sovente a percussioni elettroniche e suoni industriali a cui fanno da contrasto/connubio le voci innodiche di Sparhawk e Parker; l’effetto d’insieme è potente eppure un po’ troppo strutturato, forse per autodifesa (dieci anni fa Sparhawk visse un grave esaurimento nervoso) forse per evitare di cadere in qualche forma di estetismo fine a se stesso. Il risultato è che i momenti più simili a canzoni pop suonano poco motivati, quasi esercizi di stile (salvo What Part Of Me, bell’esempio di orecchiabilità problematica) e finiscono per depotenziare l’epos austero di No Comprende o di Landslide, quasi dieci minuti di laceranti ossessioni chitarristiche con occasionali oasi, o forse miraggi, di serenità.
Ancora una volta, Ones And Sixes è un grande disco a cui manca poco per essere grandissimo.
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