I Toy al secondo disco
Un ciclista che percorra una salita di 11 chilometri e si ritrovi all’ultimo chilometro senza accorgersene è un ciclista felice. Un ascoltatore che arrivi all’undicesimo (e ultimo) pezzo di un disco senza accorgersene è un ascoltatore perplesso. È quanto accade con Join The Dots, secondo album dei londinesi Toy: scansioni motorik, psichedelia, showgaze, qualche guizzo noise-pop alla My Bloody Valentine, poi gli stessi elementi in ordine sparso, anzi caleidoscopico, poi un ultimo, lungo brano (Fall Out Of Love) a fare da riassuntone e poi… poi il disco è finito e, come si diceva, nemmeno ci si è resi conto di averlo ascoltato oppure si è percepito un vago e piacevole flusso psicosonoro. Undici pezzi che passano come se fosse niente (ovvero fluidi e ben strutturati) sono una bella cosa, undici pezzi che passano come fossero niente (ovvero esercizi di stile) sono una cosa triste.
Join The Dots
Se questa è l’ambivalente impressione iniziale, gli ascolti successivi non dissipano i dubbi: bel suono d’insieme, ma una gran fatica a distinguere fra un episodio e l’altro, eccezion fatta forse per Endlessly che inizia torpida alla Jesus & Mary Chain e si sviluppa sognante in stile Ride con bella apertura melodica. Ecco, il problema del disco è che non dovrebbe intitolarsi “unisci i puntini” quanto piuttosto “indovina la citazione”. Per un lavoro nello stesso ambito che parta da puntini-riferimenti per arrivare a un disegno d’insieme originale e riconoscibile (e senza bisogno del titolo didascalico), meglio rivolgersi a Lonerism dei Tame Impala.
6,5/10