La scomparsa di Charlie Watts, il più elegante dei Rolling Stones

Charlie Watts 1

 

A  inizio anni ‘70, quanto il rock stava diventando un giovane adulto problematico e presuntuoso, la batteria doveva essere roboante, rocciosa e con assoli senza fine, secondo i canoni dettati al termine del decennio precedente da Ginger Baker e ‘Bonzo’ Bonham. I Beatles si erano da poco sciolti, per cui dell’elementarità ritmica di Ringo Starr tutti si erano dimenticati (e, in generale, i Fab Four parevano roba superata). Il problema serio era rappresentato invece  dagli altri sovrani dei Sixties, i Rolling Stones: satanici ma piacioni, debosciati ma tonici e, soprattutto, capaci di riempire gli stadi. L’anello debole dello strepitoso quintetto era giudicato il batterista Charlie Watts, rimasto fermo con il suo tu-tum sempliciotto all’epoca beat. O così sembrava.

Charlie Watts Is My Darling

Il mutare dei decenni e dei gusti ha portato a rivedere quei giudizi: a poco a poco la possanza altrui cominciava a essere considerata inutile muscolarità mentre la metronomia presunta banale di Watts diventava linearità, capacità di mettersi al servizio del gruppo e di swingare senza darlo troppo a sentire. Si cominciava ad apprezzare anche il suo charme sottotraccia. La sartorialità da gentiluomo di campagna, la vita tutto sommato regolare nonostante le tournée, la passione per il jazz, la fedeltà alla moglie Shirley (sposata nel 1964)  lo rendevano il più credibilmente baronetto fra tutti gli Stones (in realtà problemi con alcool e droghe erano arrivati a metà anni ’80, ma erano stati  gestiti con sapienza come “una crisi della mezza età”). Insomma, sembrava il cugino saggio, ma non saccente, di Mick e Keith. E il titolo di quel film del 1966 mai terminato (e uscito solo anni e anni dopo), Charlie Is My Darling, con il passare del tempo risultava sempre più azzeccato. Diciamo che nel nuovo secolo ci si poteva meglio identificare con il tranquillo ed elegante Watts che non con i glimmer twins ormai un po’ risaputi Jagger-Richards.

La vera fine del rock comincia ora?

Ora Charlie se ne è andato ed è come se si fosse materializzata in modo brutale un’idea durissima da accettare: sta finendo la benzina del rock’n’roll. A poco a poco tutti coloro che hanno creato una forma espressiva  che diamo per scontata – ma che un tempo non lo era – ovvero la musica giovane, ci lasceranno per vecchiaia. Da tempo immemorabile ci siamo lagnati, a intervalli regolari, della morte vera o presunta del rock. Adesso il rock sta davvero morendo; i nati negli anni ’40 non sono rimpiazzabili. Forse è per tale ragione che in queste ore il cordoglio è così forte: si è aperta una porta che non si chiuderà più e il pensiero ci risulta tanto inevitabile quanto atroce.

Passando a un registro più ironico, che di sicuro Watts avrebbe apprezzato, si può dire che nei prossimi giorni ci troveremo ad ascoltare i pezzi degli Stones facendo caso più di prima, o per la prima volta, alla batteria.  E poi si potrà giocare a immaginare quante battute si sprecheranno nel Paradiso del rock’n’roll. Cose tipo “Ehi Charlie, tu e quegli altri sembravate immortali e ora arrivi proprio tu che eri il più sano…”.

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John Vignola (non è il vero nome) e Antonio Vivaldi (è il vero nome) si frequentano da oltre due decenni, dopo essersi conosciuti a un concerto organizzato dalla rivista Rockerilla, fucina dei loro primi guizzi musico-giornalistici. Entrambi si dedicano tuttora a tale frivola attività, nel frattempo diventata assai démodé. Sono cultori della cialtroneria bene informata che vorrebbero elevare a forma d’arte. Vignola sta con i Beatles, Vivaldi vorrebbe stare con gli Stones, ma preferisce i Kinks.

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