Il ricordo di un Afghanistan diverso (e con tanta musica dentro).
In questi giorni in cui la caduta di Kabul ha messo in secondo piano il tristo tourbillon tutti contro tutti del covidiano quotidiano mi è venuto il desiderio di rileggere un libro che Bruno Casini pubblicò una quindicina d’anni fa e che riproduceva integralmente il diario tenuto da Bruno durante il suo viaggio Firenze-Afghanistan fra l’8 agosto e il 28 settembre 1975.
Quarantasei anni e parecchi mondi fa: una Fiat 127, quattro ragazzi, tante audiocassette e tantissimi sogni. Non so come siano andati i sogni di quei giovani freak, di sicuro per gli afghani quattro anni dopo è cominciato un incredibile, infinito incubo. Eppure leggendo queste storie viene spontaneo sperare che un giorno (probabilmente lontanissimo) sarà possibile tornare a viaggiare in Afghanistan – con mezzi di viaggio e di riproduzione sonora aggiornati – giudicandolo per quello che è: un paese bellissimo.
Il libro, ormai di non facilissima reperibilità, s’intitola 1975; Viaggio in Afghanistan – diari ed avventure freak (Catcher Editore, 2005) e questi sono alcuni estratti.
“Entriamo in Herat in piena notte, un silenzio pazzesco, qualche cane che abbaia, pochissime persone per strada, non c’è nessuno. Troviamo l’Hotel Jami, costa pochissimo circa 30 afgani (1 dollaro viene scambiato a 50-53 afgani), quindi deducete voi quanto costa. Herat: vento, tre secoli indietro, zoccoli di cavallo sulle pietre delle strade, queste le prime sensazioni di questo paese magico. Ritorna Alan Sorrenti con ‘Aria’ ed ascoltarlo qua è incredibile, sembra una colonna sonora in perfetta sintonia con gli spazi e i luoghi di questo posto.”
“Ceniamo su dei tavolini bassi per bere thè alla mente e mangiare riso ed omelettes con verdure, la musica proviene da un piccolo palco con due musicisti afgani, un percussionista e un suonatore di uno strumento a corde che ricorda il suono di un sitar. Di notte tardi si mangiano dei buonissimi dolcetti psichedelici. I Tarantolati di Antonio Infantino ci fanno scaricare tutta l’adrenalina che abbiamo dentro di noi, una sorta di medicina sonora.”
“Verso sera usciamo tutti e andiamo verso il centro [di Kandhar], ci troviamo di fronte a una festa esplosiva, bambini che giocano a notte fonda, intere famiglie che mangiano di tutto, musica, ritmi e percussioni, canti, profumi. luci. Ci troviamo di fronte al popolo afgano in festa, è il ramadan e tutto questo finisce all’alba. E’ la notte più bella che ho vissuto in vita mia, energia alle stelle, mi bevo una spremuta di melograno rossa con il ghiaccio, buonissima, sembra di bere un gelato. [Tornato in albergo ] mi ascolto in doveroso silenzio, da solo, ‘Pawn Hearts’ dei Van Der Graaf Generator, fantastico sulle poetiche di Peter Hammill, sul suo pessimismo cosmico, sulle sue filosofie simboliste, sul suo romanticismo oscuro, ascoltarlo qua in Afghanistan diventa ancora più visionario, mi si aprono squarci densi di pathos, di rara magia, quasi sospeso sul niente, è notte, buio intorno a me.”
“Entrando a Kabul mi ronza nella testa ‘Cold Turkey’ della Plastic Ono Band di Lennon e Yoko, suono duro […] Troviamo un ristorante vicino al nostro hotel, ancora aperto, mangiamo, non riusciamo a parlare dalla musica a tutto volume, musica hard rock sparata, mi sembrano i Black Sabbath o Grand Funk Railroad, fuggiamo e rientriamo in albergo. […] Kabul è una città che supera il milione di abitanti, nel quartiere dove stiamo sembra di essere in una città europea, forse un sobborgo di Londra, le atmosfere mistiche e magiche di Kandhar sono un lontano ricordo del passato, mi convince poco questo posto, non mi piace, qui uno si “impantana” e non ne esce più.”
Certo che suonano davvero profetiche queste ultime parole di Bruno Casini. Nel corso della storia recente In tanti si sono impantanati a Kabul e in Afghanistan, partendo dal 1979 fino a questi giorni di imbrazzanti per qualcuno, tragiche per altri, fughe in elicottero.