La classifica: 10-1
10.Young Americans
Non il suo disco più amato, almeno generalmente, così poco rock, e invece così intriso di soul americano, ma riscritto e cantato con la classe unica di Bowie, anche qui in anticipo sui tempi nell’abbracciare la black music. Un connubio perfetto che trova nella title track il simbolo, ma anche un pezzo che va bene per conto suo come singolo. La sorpresa di sentirla così attuale e perfetta alla fine di Dogville di Lars von Trier …
9.Moonage Daydream
“I’m an alligator / I’m a mama-papa comin’ for you / I’m the space invader / I’ll be a rock ‘n’ rollin’ bitch for you”. L’apoteosi del glam; dal vivo con Mick Ronson acquista in potenza e mantiene tutta la magia della parabola Ziggy Stardust.
8.Five Years
Le prime note di The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars: il piano, l’interpretazione, se ci pensate bene il testo talmente assurdo e talmente nitido allo stesso tempo. Un inno alla fine del mondo.
7.The Man Who Sold the World
Molti l’hanno conosciuta attraverso la bella ripresa unplugged dei Nirvana, ma l’originale resta superiore. Condivide con il resto del disco omonimo una follia di fondo e alcune soluzioni per la voce e gli arrangiamenti che suonerebbero attuali se uscisse oggi. Poi quando l’ha ripresa con Klaus Nomi e Joey Arias al Saturday Night Live del 1979 …
6.Life on Mars?
Difficile aggiungere qualcosa a commento di questo brano epocale, pieno di immagini sorprendenti e di una melodia che passa indenne ogni prova del tempo. Un vero classico insomma; basti pensare che la canzone dell’anno 2020 di TomTomRock, scritta dal 21enne Declan McKenna, le rende chiaramente omaggio.
5.Always Crashing in the Same Car
Una sequenza di canzoni incredibili nel capolavoro Low: questa mi torna continuamente in mente con le note della chitarra solista del fantastico Ricky Gardiner filtrata da Brian Eno, e un testo brevissimo, del quale nel tempo si è data una spiegazione, ma che mi piace pensare astratto così come mi è apparso la prima volta che l’ho ascoltato.
4.Sound and Vision
Vedi sopra per Low, ma qui sono la voce con il doppio registro acuto/grave che si alternano, nonché una batteria come non si era mai sentita prima (ma come si sarebbe sentita ovunque nel decennio successivo e oltre) a rendere questi tre minuti tondi la perfezione pura.
3.Station to Station
Simbolo di una nuova era per Bowie e per la storia della musica, riprende alcuni temi che non ha mai abbandonato dai tempi di The Man Who Sold the World, mentre musicalmente è il ponte fra il plastic soul e la trilogia berlinese. Disco splendido nell’insieme, ma la title track ha qualcosa di speciale, ancor più nelle versioni accelerate dei live che seguirono la pubblicazione del disco.
2.Sweet Thing
Questa magari stupirà qualcuno, ma nella versione di David Live e di quel tour (Sweet Thing/ Candidate/ Sweet Thing Reprise) contiene un po’ l’essenza del perché amo Bowie: la teatralità, la sensualità, la voce, la capacità di aprire un mondo all’ascoltatore.
1.Helden/ Heroes
Non è per fare i difficili, ma Helden è cantata meglio, di poco, ma meglio. Ed è dire tanto per un brano nel quale Bowie canta in modo divino. C’è però anche un’altra considerazione: Heroes è divenuta inflazionata da pubblicità e da troppe versioni, anche sue, assolutamente al di sotto dell’originale e dell’esecuzione nei live appena successivi, come Stage. Bisogna tornare ad ascoltarla così, in purezza: un tappeto di synth (grazie per sempre Brian Eno) con una voce unica al mondo per comprenderne davvero la stupefacente bellezza.