Paolo Castaldi racconta la sua graphic novel “La Buon Novella”.

 

Guido Siliotto intervista Paolo Castaldi a proposito del suo lavoro a fumetti ispirato ai testi originali de “La Buona Novella” di Fabrizio De André (Feltrinelli Comics). 

Non era certo un compito facile realizzare un immaginario visivo per “La Buona Novella” di De André. Anzi tutto, perché stiamo parlando di uno dei dischi più importanti di uno degli artisti più importanti dell’intero panorama della musica d’autore. Un lavoro complesso, ma anche una delle opere che più hanno riscosso consensi di pubblico e critica nella preziosa discografia del poeta e cantautore genovese. Ma, a volte, bisogna avere il coraggio di osare. E Paolo Castaldi, guidato prima di tutto da una viscerale passione, ci ha provato. E ci è riuscito. Perché a volte la passione non basta: ci vuole talento e qualità tecniche, tutte cose che a Castaldi non mancano di certo e che lo hanno imposto come fumettista raffinato ed incisivo.

I suoi lavori precedenti già ne avevano testimoniato lo spessore. Mi riferisco soprattutto a quelli che ho apprezzato di più, guarda caso entrambi legati al calcio: “Diego Armando Maradona” e “Zlatan. Un viaggio dove comincia il mito”. In realtà, più che di calcio, entrambi parlano di due geni del pallone, Maradona e Ibrahimovic, ma anche di due uomini dalle mille ombre, spesso oggetto di critiche e giudizi affrettati, capaci di suscitare amore intenso come odio istintivo. Insomma, due irregolari. È evidente quanto questa fascinazione per personaggi così sfaccettati abbia inciso nella scelta di dedicarsi a una resa a fumetti de “La Buona Novella”, come meglio ci fa capire lo stesso Castaldi nell’intervista che segue.

Come mai hai deciso di realizzare questo libro?

Avevo voglia di lavorarci da una ventina d’anni. Mi innamorai per la prima volta delle canzoni di De Andrè quando avevo 16 anni, l’età giusta per un amore romantico. Dei suoi dischi, “La Buona Novella” fu quello che mi colpì per la sua universalità e i messaggi che conteneva, ma anche per come erano scritti. E poi mi piaceva perché, col suo messaggio di inclusione e tolleranza, smascherava certe ipocrisie della Chiesa. In due parole, è un disco che ci insegna a non giudicare gli altri.

Quindi tutto nasce da un’autentica passione per De André.

Io penso che De André sia uno dei 4-5 poeti più importanti del ‘900. Per me non è semplicemente un cantautore, ma un genere a sé, come fosse una materia da studiare a scuola. Mi rendo conto di essere di parte, ma è perché mi rappresenta molto e guardo a lui per il mio approccio all’arte. Certo, ha avuto le sue ombre, ma parliamo di un essere umano e lungi da me l’ipotesi di mitizzarlo. Poi, più in generale, sono un appassionato di cantautori italiani, come Dalla, De Gregori, ma anche Brunori Sas e, per citarne altri, Bottega Baltazar, Teo Manzo e Pollio. Tutti artisti che danno grande importanza ai testi. Ecco, per me questa è una priorità, infatti ascolto anche tanto rap italiano, mentre il rock inglese e americano mi coinvolge meno.

E’ stato un lavoro difficile?

Il primo problema da risolvere era quello di ottenere i diritti per l’utilizzo dei testi. La Fondazione De André fa di tutto per preservare l’opera di Fabrizio. Feltrinelli però aveva già dei canali aperti con loro, quindi è stata l’occasione giusta. Così, quando l’ho proposto a Tito Faraci, che si occupa della sezione fumetti della casa editrice, la cosa è andata in porto. Il disco lo conosco a memoria, lo ascolto da vent’anni, molte immagini le avevo in testa da molto tempo. Il problema era renderlo mio senza mancare di rispetto all’opera. Allora mi sono seduto a tavolino con la mia editor,  Silvia Stevanella, per ragionarci su. Ho pensato subito che non bisognava tagliare i testi, perché sono perfetti. Come avrei potuto togliere anche solo una strofa? Quindi le parole sono solo quelle di De Andrè, divise in capitoli secondo la sequenza delle canzoni, mentre io mi sono occupato dell’immaginario visivo. Qui non ho avuto timori, perché sapevo di potercela fare, magari aggiungendo il mio punto di vista. Solo ne Il Testamento di Tito ho fatto una scelta forte, di rottura, coraggiosa, perché mi interessava esplicitare il fatto che le parole de “La Buona Novella” vanno calate nel presente. Ma se De André parlava degli anni Settanta, io intendevo parlare del 2020 e volevo che il lettore lo capisse senza fraintendimenti. Così ho inserito 10 storie, una per ogni comandamento citato nella canzone, di persone comuni, vittime della crudeltà umana, del razzismo, del giudizio facile e del fatto che non ci consideriamo fratelli. Vicende come quella di Franca Viola, che rifiutò il matrimonio riparatore, o quella di Ani Laurent, il bambino della Costa d’Avorio morto assiderato nel vano di un aereo con cui voleva raggiungere la Francia, o ancora quella di Kemal Smajlovic, giovane musulmano che lavorava in Italia e che finì per suicidarsi, vittima di continue discriminazioni. E’ stato il capitolo più difficile da realizzare, ma credo di aver centrato l’obiettivo.

Il libro come va letto? Ascoltando il disco o no?

Penso che, se conosci bene il disco e lo tieni in sottofondo, è il metodo vincente. Non l’avevo pensato così, ma dopo aver fatto l’esperienza io stesso, credo che sia il modo migliore. Tra l’altro, può essere utile anche per riscoprire il disco.

Un pensiero sulla morte di Maradona.

Ovviamente mi ha segnato molto, non solo perché ho scritto su di lui un libro per me importante, ma anche perché sono figlio di un napoletano e sono tifoso del Napoli. Ma quello che mi ha colpito di più sono stati i commenti successivi, che, guarda caso, hanno reso esplicito quanto siano ancora necessarie le parole di un disco come “La Buona Novella”, in un mondo che giudica un uomo per delle scelte di vita che, peraltro, hanno fatto più male a lui stesso che agli altri.

Anche stavolta, il perbenismo è arrivato subito a colpire, senza sforzarsi di capire il lato più fragile della persona. Ma se “La Buona Novella” ci insegna a non giudicare due ladroni in croce, figurati un campione che ha regalato gioia al mondo intero.

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Avvocato e giornalista, marito devoto e padre esemplare, scrive di musica e fumetti sulle pagine de Il Tirreno e collabora/ha collaborato con numerose altre testate cartacee e non, oltre a non curare più un proprio blog. Fa parte della giuria del Premio Ciampi.

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