Avevamo deciso, per discrezione, di tacere. Poi, però…
…poi però in estate i dischi nuovi diminuiscono, recuperi le cose lasciate indietro, ti convinci finalmente della validità di Fading Frontier dei Deerhunter, continui a rimanere moooolto dubbioso sui Radiohead oppure ringrazi chi ti ha regalato il cd di Anderson Paak. Quindi, in un momento di autolesionistica perversione, ti dici: “Dài, riproviamo con questo”. Quando l’hai sentito la prima volta, in giugno, volevi lanciarlo sul mercato nell’accezione di Cochi e Renato, ma era prima della vacanze, era un periodaccio. Ora sei rilassato e meglio disposto perché dalle vacanze sei appena ritornato. Eppure, dopo pochi minuti, ecco che il fastidio e Cochi e Renato ritornano. Ma quale la causa di tanto nervosismo?
Some Like It Lyric
Si chiama Some Like It Lyric (incipit Records/Egea) , è stato pubblicato a nome di Madelyn Renée e Jacopo Jacopetti e propone una fusion di lirica (il repertorio) e jazz (suoni e arrangiamenti). Ora è indiscutibile che per Jacopetti ci siano voluti talento e impegno nel rivedere in chiave jazz Puccini, Mozart, Bizet e il meno conosciuto Delibes ed è altrettanto vero che Renée (soprano bostoniana che cantò, fra gli altri, con Pavarotti) mostri in un contesto per lei inusuale una bella duttilità; eppure il disco suona falso, suona furbo, anche se magari nelle intenzioni non lo è. Forse è solo colpa del complottismo che ormai tutti ci portiamo dentro e che ti spinge a pensare cose come “Il jazz fa sempre figo, la lirica è uno dei pochi export italiani che ancora funzionano e allora via con il format jazz + lirica (non a caso per parlare del disco si sono scomodati anche quotidiani e agenzie di stampa che di solito oltre Ligabue e Jovanotti non vanno).
Un disco senza ambizioni
Ma se rimuoviamo l’accusa, invero antipatica, di lavoro studiato a tavolino, resta la sostanza di una musica alla lunga molto faticosa da ascoltare, quasi appiccicosa si potrebbe dire, ancor più in ragione di melodie che sono, inutile a dirsi, imbattibili. Resta la sostanza di soluzioni sempre sicure e mai arrischiate, di modi troppo morbidi e poco visionari: proprio perché il talento c’è – e il repertorio non si tocca – qualcosa in tal senso si poteva tentare. Resta, infine, la preoccupazione per una scena musicale italiana che tende a specchiarsi in un autocompiacimento poco giustificato.
E così, per tirarti su il morale, recuperi i dischi recenti, con e senza Blixa, di Teho Teardo. Non sono per niente estivi, ma Teho è uno dei pochissimi musicisti di vero genio del nostro paese.