david peel american revolutiom

Anche il rock fan più scafato può venire colto di sorpresa da un riascolto.

david peel american revolutiom

1 – LA VISITA INEVITABILE

Chi ascolta musica lo sa. Basta trovarsi in una città di dimensioni decenti e subito sale la voglia di visitare un negozio di dischi locale. A Denver, Colorado ce n’è uno abbastanza famoso da comparire nelle guide turistiche generaliste, Wax Trax. Il posto non è enorme ed è indie nel senso Nick Hornby del termine, come a dire che la cosa più commerciale in vendita è Jack White. Ti aggiri per un po’ fra gli scaffali e a un certo punto metti a fuoco un paio di elementi. Intanto la clientela ha un’età media inferiore a quella italiana (e lo stesso vale per i due giovanotti al banco) e poi ci sono solo vinili! I cd proprio non esistono e, dato che gli arredi sono vecchiotti, l’impressione è di essere tornati nel 1982. O forse di essere volati nel 2022.

I compagni di viaggio aspettano all’esterno e così compri rapidamente qualche 33 giri usato pensando che sono cose che conosci già (le hai su vecchie cassette o in altra edizione più povera) e che alla tua età potresti smettere di fare il bambino fanatico. Carico di sensi di colpa, nemmeno partecipi a una conversazione in corso su meriti e demeriti comparati del punk inglese e americano in versione live. Proprio come nel tuo negozio di fiducia: solo la lingua è diversa.

david peel wax trax

Wax Trax, Denver

2 – LA RISCOPERTA IMPREVEDIBILE

Arrivato a casa, i dischi comprati a Denver li ascolti soprattutto per sentirti ancora in viaggio. Per ultimo metti sul piatto quello che ti convince di meno (e che hai pagato di più),  preso più che altro per la copertina, una parodia del patriottico dipinto “Washington attraversa il Delaware” di Emanuel Lutze. Si tratta di The American Revolution di David Peel & The Lower East Side. David Peel può essere considerato un outsider della scena outsider di New York, una versione più scombinata dei poeti-cantanti Fugs. I suoi dischi più famosi sono Have A Marijuana (registrato nelle strade di New York) e Pope Smokes Dope (pubblicato su Apple con il patrocinio del John Lennon politicizzato).

Già i titoli la dicono tutta sull’attitudine del personaggio, uno che il 23 maggio 1971 andò a manifestare insieme a qualche decina di perdigiorno (fra cui il temibile Alan Weberman) davanti a casa di Bob Dylan per contestarne la deriva borghese (*). The American Revolution, datato febbraio 1970, è di norma considerato  il prodotto meno interessante del periodo ‘mainstream’ di Peel (esce addirittura per l’Elektra), che poi continuerà a incidere fino agli anni ’00 con riscontri sempre più minimali ma attitudine perennemente barricadera.

La puntina scende sul vinile e già l’introduzione parlata suona  menefreghista più che controculturale come ci si attenderebbe: “The way the people want to live is their own business and I want to join”. Poi parte la musica e dopo 30 secondi hai la bocca aperta e, probabilmente, gli occhi da grullo. The Lower East Side è un inno di 3 minuti e 15 secondi dedicato  a  un quartiere che, fino ai primi del XXI secolo, era uno dei più disperati di New York: ritmo tirato e sgraziato e voce che sbraita nichilista “We don’t give a damn if we live or die”. A un cento punto il coretto “love, love, love” fa il verso ai Beatles di All You Need Is Love. Ma questi sono i Ramones sei anni prima! E aggiungiamo che i Ramones non venivano dai bassifondi come il Lower East Side, ma erano borghesi di Forest Hills….

Pensi che magari sia un caso e  infatti la successiva Legalize Marijuana ritorna a un tema caro agli hippie dell’epoca, solo che l’andatura sparata fa pensare più all’anfetamina che alla marijuana e alla fine si sente un cittadino moralista lamentarsi dei “punks on dope”… Dopo una I Want To Get To High (i temi sempre quelli sono) sgangherata come i Pistols nel ’76 e con “fa fa fa fa” finale che ricorda i Jam quando facevano il verso ai Kinks, lo stupore ritorna potente con il pezzo più bello del disco, I Want To Kill You, tragico ritratto d violenza urbana onnicompensiva con  testo assai attuale e suono reggae-wave degno dei Ruts D.C. o di Ian Dury. Insomma, siamo sempre di sei-sette anni in anticipo su  tutto.

Se, proseguendo l’ascolto, le premonizioni non risultano altrettanto spettacolari, l’album continua comunque a viaggiare a velocità portentosa, Ad esempio, Hey Mr. Draft Board usa un ritmo pellerossa per inveire contro la leva militare che all’epoca portava dritti in Vietnam. La conclusione è affidata a una preghiera acustica dai toni desolati e indifesi, poco in sintonia con ideali e fervori dell’epoca. “It’s My Life And You Do What You Want”  rovescia l’orgoglio giovanilista della “It’s my life and I do what I want” cantata dagli Animals e le ultime parole sono pura disperazione: “God, May I Stay Alive”.

A questo punto  ti chiedi come mai all’epoca del primo ascolto non avevi colto tanta meraviglia stracciona,  sui siti di vendita on line giustamente descritta come proto-punk. Poi, ricostruendo alcuni eventi, ti rendi conto di averlo messo su cassetta nel 1977, quando del punk in Italia poco o nulla ancora si sapeva. La musica che faceva Peel non aveva ancora quel  nome poi diventato così comune. Era anzi considerata ottusa, cialtrona, demente, valida solo come documento sociale e nemmeno troppo buona politicamente per via della sua fumatissima/acidissima demenza.

Parliamo di una demenza che in realtà già era voglia di mandare in malora il mondo anziché  cambiarlo o possederlo. E questo mentre, più o meno in contemporanea,  Jim Morrison ancora cantava “We want the world and we want it now”. Insomma, lo sghangherato Peel immaginava il futuro con più lucidita del sexy-vate Morrison. C’è un po’ di tristezza in queste strade del sogno hippie già piene di vento. E c’è una una tristezza più privata perché da quella cassetta C90 (sull’altro lato I-Feel- Like… di Country Joe & The Fish, se la memoria non inganna) sono passati così tanti anni. Un certo  compiacimento deriva invece dal ricordare che chi ti prestò il disco è nel frattempo diventato un famoso chitarrista.

3 – LA MORALE INECCEPIBILE

Sì, è vero. Compro dischi in modo un po’ maniacale e perché sono ‘abituato’ Eppure, quando mi imbatto in una sorpresa 40 anni dopo come The American Revolution di David Ramone… oops David Peel, mi rendo conto che vale ancora la pena sentirmi un bambino fanatico. E benedetti i negozi di dischi che mi aiutano a rimanere forever scemo.

Nota sulla reperibilità: Il vinile usato di The American Revolution è acquistabile sui siti di vendita per corrispondenza a prezzi intorno ai 25 euro. In cd lo si trova all’interno dell’antologia And The Rest Is History: The Elektra Recordings (Rhino Handmade) insieme a Have A Marijuana.

david peel and the rest

(*) L’evento è vividamente rievocato da Fernanda Pivano nell’introduzione a “Bob Dylan – Blues, Ballate e Canzoni”. Si tratta della pioneristica e meritoria prima traduzione italiana dei testi di Dylan a cura di Stefano Rizzo (Newton Compton, 1972).

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Nello scorso secolo e in parte di questo ha collaborato con Rockerilla, Musica!, XL e Mucchio Selvaggio. Ha tradotto per Giunti i testi di Nick Cave, Nick Drake, Tom Waits, U2 e altri. E' stato autore di monografie dedicate a Oasis, PJ Harvey e Cranberries e del volume "Folk inglese e musica celtica". In epoca più recente ha curato con John Vignola la riedizione in cd degli album di Rino Gaetano e ha scritto saggi su calcio e musica rock. E' presidente della giuria del Premio Piero Ciampi. Il resto se lo è dimenticato.

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