Il 68° Festival di Sanremo sottrae (e fa bene).
Parlando di Sanremo 2018 cercheremo, per quanto la nostra vocazione sia un po’ diversa, di non essere voce fuori dal coro. La 68° edizione del Festival della Canzone Italiana ha mostrato che l’idea di sottrarre, non tanto in durata, quanto nel parterre degli ospiti e in una certa consuetudinaria ridondanza, paga. E anche piuttosto bene. Le canzoni hanno “respirato” a dovere, sono state punto di partenza e d’arrivo di tutte le serate, anche quando non erano in gara. Nessuno si è potuto esimere dal cantarne almeno un paio, co-conduttori compresi.
Il monologo di Favino momento alto di Sanremo 2018
Il momento più emozionante in assoluto è stato il monologo di Pierfrancesco Favino, tratto da un testo di Bernard-Marie Koltès. Una bella sberla al razzismo che di questi tempi pare quasi à la page. Il resto dei fuori campo, da Fiorello a Virginia Raffaele fino ai superospiti stranieri superpagati (e superavvilenti quando hanno cantato in italiano), è scivolato via come acqua minerale.
Ma le canzoni com’erano?
Quanto alle canzoni in concorso cosa si può dire? Forse solo che le canzoni di Sanremo 2018 sono quello che sono. Una tautologia mica tanto evidente, perché chi si aspettava che questa edizione fosse “rivoluzionaria” rispetto alle precedenti ha dovuto constatare che la forma canzone classica gode pessima salute sia nella città dei fiori sia nel resto d’Italia. Sbaragliata la faciloneria secondo cui si tratta ormai di un festival di anziani (sul podio sono saliti giovani o quasi giovani), rimane un confortevole appiattimento che fa salire gli ascolti e non crea grandi polemiche, a parte quella concertata sul pezzo vincitore, Non Mi Avete Fatto Niente di Ermal Meta e Fabrizio Moro. Si tratta infine di un appiattimento rassicurante, perché questi pezzi, anche quando affrontano temi sociali o ironizzano, sono stranamente concilianti o retorici.
La nota dolente di questo Sanremo 2018
Nota a margine, ma nemmeno tanto: il grande Geoff Westley, produttore di capitoli importanti della musica italiana, da Battisti a Baglioni a Cocciante, conduce a sorpresa l’orchestra verso un baratro d’altri tempi. Aperture fuori tempo, amalgama inesistente, stonature e sibili rilevantissimi riservati anche agli ospiti stranieri (vedi James Taylor).
In un applauso generale, perché comunque lo spettacolo è stato sobrio (a suo modo) e ben condotto, le sbavature stanno proprio nel cuore di quello che dovrebbe essere il festival. Mancano le canzoni, ma che ci volete fare? E’ così un po’ dappertutto.
Per altri commenti di John Vignola a passate edizioni del Festival di Sanremo leggete qui e qui.