Summero of Soul

La Summer of Soul di Questlove, apoteosi della black music all’Harlem Cultural Festival

That’s the summer we became free… Boy, it was hot that day, and the sun was in my face. And it was exciting. We hadn’t had anything like that in Harlem. Dorinda Drake, una spettatrice del festival

Ci sono voluti più di cinquant’anni per arrivare a vedere le immagini di Summer of Soul tanto che il sottotitolo scelto – ..Or, When the Revolution Could Not Be Televised – suona, forse involontariamente, ironico. Ma alla fine il batterista dei Roots e regista dell’operazione, Ahmir Questlove Thompson, ce l’ha fatta. E il risultato, come sosteneva il critico del Guardian nel luglio scorso – nei giorni in cui Disney + ha lanciato sulla sua piattaforma il documentario – si candida autorevolmente ad essere il miglior film-concerto mai realizzato. Non solo per la musica che pure annovera alcuni tra i più importanti protagonisti della musica black di quegli anni (facciamo solo due nomi per ora: Mahalia Jackson e Stevie Wonder). E nemmeno per la raffinatissima opera di montaggio dei concerti delle sei giornate del festival (non consecutive, la prima il 29 giugno, l’ultima il 24 agosto), alternate alle interviste ai musicisti e agli spettatori che parteciparono all’evento. Ma perché al contrario di altri due film musicali, relativi a quell’anno, accende i riflettori sull’inizio di una nuova era.

Il legame con Woodstock e Gimme Shelter

Il riferimento è a Woodstock (lo ricordiamo per i distratti: dal 15 al 18 agosto) e a Gimme Shelter, il film che documenta le ultime settimane del tour americano del 1969 dei Rolling Stones concluso con l’accoltellamento a morte di uno spettatore, Meredith Hunter, il 6 dicembre a Altamont. I due eventi, peraltro strettamente connessi (in entrambi i casi uno dei principali promotori era Michael Lang), rappresentano la fine di un’epoca e del sogno della cultura hippie (se mai ce n’è stata una). Al contrario, l’Harlem Cultural Festival (che pure è stato anche soprannominato Black Woodstock, probabilmente non da chi lo volle e lo portò a compimento) segnò una tappa importante, forse fondamentale, nel lungo processo di emancipazione della comunità afroamericana.

 ‘69 was the pivotal year, where the Negro died and Black was born. Al Sharpton, attivista e politico

A lanciarsi nell’impresa produttiva del festival (e a presentarne ogni singolo evento) fu Tony Lawrence, un cantante di club e promoter originario di St. Kitts, trasferitosi negli Stati Uniti da bambino. Lawrence concepì l’idea del festival già nel 1967, ma solo dopo aver convinto il dipartimento dei parchi di New York e l’allora sindaco John Lindsey (un repubblicano che in seguito si sarebbe spostato nelle fila del partito democratico) riuscì nell’impresa. Una parola non casuale visto che all’epoca – come dichiara Questlove –semplicemente non c’erano festival che si rivolgessero ai neri.

Summer of Love nel cuore di New York e dell’America

La manifestazione attirò un pubblico di circa 300.000 persone; era completamente gratuita (anche grazie all’intervento dello sponsor Maxwell House, una marca di caffè solubile) e per il servizio d’ordine Lawrence si affidò ai Black Panthers. Si svolse nei pomeriggi domenicali e non la sera, perché l’organizzazione non aveva i soldi per permettersi un impianto di illuminazione. Creando così non pochi problemi agli operatori che dovettero riprendere i concerti, nonostante il palco fosse orientato a ovest proprio per aver le migliori condizioni di luce possibili. Il luogo prescelto fu il Mount Morris Park (oggi si chiama Marcus Garvey Park, in onore di un’attivista e uomo d’affari nero), un piccolo parco che ancora interrompe la Fifth Avenue, tra la 120a e la 124a strada.

Summer of Love tomtomrock

Quell’estate divenne il centro della vita culturale di Harlem, non solo per la comunità afroamericana, ma anche per quella Caraibica, Cubana, Portoricana (i New Yorican) che proprio in quel momento cominciavano ad affacciarsi alla ribalta politica e sociale della città. L’allora ventottenne reverendo Jesse Jackson da quel palco si rivolse alla folla affermando che quel festival era una affermazione politica per le comunità black and brown, un popolo nuovo e meraviglioso che utilizzava un linguaggio universale, quello del ritmo.

 It was Hip, it was a real Hip. Betty Barnes, una spettatrice del festival

Fu una lunga estate calda che arrivava un anno dopo l’assassinio di Martin Luther King (4 aprile 1968) e quello di Bobby Kennedy (il 6 giugno dello stesso anno), nel bel mezzo di una guerra, quella del Vietnam, di cui erano in pochi a capire i motivi; e in contemporanea con lo sbarco sulla Luna del 20 luglio 1969, un altro evento che lasciò piuttosto freddi i partecipanti al festival. Alcuni, come testimonia il film, dichiararono che quei soldi sarebbero stati spesi meglio per aiutare le popolazioni più povere del pianeta. La posizione degli spettatori è perfettamente riassunta dalle parole di uno di loro: Black man wants to go to Africa, whiteman’s going to the moon. I’m gonna stay in Harlem with the Puerto Ricans and have me some fun.

Un’offerta musicale strepitosa

D’altra parte l’offerta musicale era davvero impressionante: in ordine di apparizione e senza citarli tutti The Fifth Dimension, Abbey Lincoln & Max Roach, The Edwin Hawkins singers, Mahalia Jackson, The Staple singers, Stevie Wonder, David Ruffin, Gladys Knight & The Pips, Mongo Santamaria, Ray Barretto, B.B. King, Hugh Masekela. Il film decide di non raccontare quelle giornate in ordine cronologico, ma seguendo un criterio tematico, in un crescendo che culmina con le esibizioni di Nina Simone e Sly and the Family Stone. Curiosamente sono anche gli unici interpreti che in quei giorni furono impegnati in altri due festival: Sly a Woodstock e Simone in un’altra manifestazione che molto più ragionevolmente andrebbe accostata all’Harlem Music festival.

L’Africa nel cuore

Infatti in quegli stessi giorni, dal 21 luglio al 1 agosto, ad Algeri si tenne il Festival Panafricain, uno dei più grandi eventi culturali dell’Africa post-coloniale con concerti (Miriam Makeba e Archie Shepp), spettacoli di strada, mostre, proiezioni, concorsi e conferenze con i più importanti intellettuali e i leader dei movimenti di liberazione del continente. L’apertura vide una sfilata per le strade di Algeri di tutti i paesi partecipanti. Anche qui c’è un film a documentare l’evento, quello girato dal fotografo William Klein, uscito già l’anno seguente. A dire il vero oltre a Nina Simone ci fu anche qualcun altro che partecipò ad entrambi i festival poiché tra gli invitati c’erano anche i rappresentanti delle Pantere Nere, a sottolineare quanto forte fosse il legame tra la Madre Africa e la comunità nera negli Stati Uniti e non solo nelle manifestazioni più esteriori.

C’era un nuovo movimento. Afrocentrico. Una rivoluzione nello stile. Una rivoluzione culturale. Scoprimmo che gli stili africani si adattavano meglio a noi. Jim McFarland, ex sarto

Summer of Love: dal gospel a Stevie Wonder a Nina Simone

Ci sono molti momenti memorabili immortalati nel film: sicuramente Precious Lord, il duetto di una trentenne ed emozionatissima Mavis Staples con la regina del gospel Mahalia Jackson. Il frenetico assolo di batteria di un diciannovenne Stevie Wonder che poi si sposta alla tastiera per eseguire It’s Your Thing degli Isley Brothers. Le trascinanti esibizioni di Mongo Santamaria e Ray Barretto, l’incandescente Higher di Sly Stone, Africa di Max Roach e Abbey Lincoln.

 

E Nina Simone che per la prima volta canta To Be Young, Gifted and Black, un testo della scrittrice e drammaturga Lorraine Vivian Hansberry. E che modifica le parole di Backlash Blues, un testo scritto per lei da Langston Hughes, poeta afro-americano, uno dei protagonisti della Harlem Renaissance degli anni ’30. Poiché nel frattempo lo scrittore era scomparso Simone aggiunge una strofa rispetto alla versione incisa due anni prima:

Langston Hughes died / He told me many months ago / He said, “Nina, I know it’s been hard for you, baby I know how hard it’s been for ya. They never wanted to accept ya!” / Black!

Aveva ragione visto che come racconta la giornalista Charlayne Hunter-Gault, che volle scrivere un memoriale di undici pagine per far sì che nel titolo di un suo articolo per il New York Times comparisse la parola Black e non il termine Negro come stavano per fare al giornale (ricordiamolo sempre che le parole sono importanti….). Che la strada fosse lunga lo dimostrerà anche il brutale omicidio di Fredrick Allen Hampton Sr. il 4 dicembre 1969, un esponente delle Pantere Nere di cui Shaka King sempre quest’anno ha raccontato la storia nel bel film Judas and the Black Messiah. A conferma che forse è arrivato il momento in cui finalmente la rivoluzione può approdare sugli schermi e nelle coscienze di ognuno di noi.

LE CANZONI DEL FILM

Stevie Wonder – It’s Your Thing

The Chambers brothers – Uptown

B.B. King – Why I Sing the Blues

Herbie Mann feat Roy Ayers – Chain of Fools

The Fifth Dimension – Don’tcha Hear Me Callin’ to Ya

The Fifth Dimension – Aquarius/Let the Sunshine In

The Ewin Hawkins singers feat Dorothy Morrison – Oh Happy Day

Papa Staple and Staple singers – Help Me Jesus

Prof. Herman Stevens & the Voices of Faith – Heaven is Mine

Clara Walker & the Gospel Redeemers – Wrapped, Thed & Tangles

Mahalia Jackson – Lord Search my Heart

Ben Branch & Breadbasket Orchestra and Choir – Unidentified song

Mavis Staples & Mahalia Jackson – Precious Lord

David Ruffin – My Girl

Gladys Knight & The Pips – I Heard It Through the Grapevine 59

Sly and the Family Stone – Sing a Simple song

Sly and the Family Stone – I Am Everyday People

Mongo Santamaria – Watermelon Man

Ray Barretto – Abidjan

Papa Staple and Staple singers – It’s a Been Change

Stevie Wonder – Shoo-be-doo-be-doo-be-doo-da-day

Dinizulu and his African Dancers and Drummers – Ogun Ogun

Sonny Sharrock – Unidentified song

Max Roach – It’s Time

Abbey Lincoln & Max Roach – Africa

Hugh Masekela – Ha lese le di khanna

Hugh Masekela – Grazing in the Grass

Nina Simone – Backlash blues

Nina Simone – To Be Young, Gifted and Black

Nina Simone – Are You Ready?

Sly and the Family Stone – Higher

 

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Da ragazzo ho passato buona parte del mio tempo leggendo libri e ascoltando dischi. Da grande sono quasi riuscito a farne un mestiere, scrivendo in giro, raccontando a Radio3 e scegliendo musica a Radio2. Il mio podcast jazz è qui: www.spreaker.com/show/jazz-tracks

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