Parola di Faber

Parola di Faber: il Fabrizio De André live riascoltato. Intervista con l’autrice Laura Monferdini

Quasi certamente Fabrizio De André è il musicista italiano su cui esiste la bibliografia più ampia. A spanne si può dire che il centinaio di pubblicazioni è stato da tempo superato. Qualche titolo può apparire non esattamente fondamentale oppure troppo di nicchia (esiste persino un simpatico volumetto sul Fabrizio scolaro alle elementari).
In un contesto tanto affollato Laura Monferdini, che di De André è non solo cultrice ma anche studiosa di lunga data, ha evitato sia  il panico sia l’ovvio scegliendo un approccio tanto peculiare quanto impegnativo: raccontare il musicista genovese lungo tutto il suo percorso concertistico dal 1975 al 1998. Il risultato è stato Parola di Faber, volumone di 623 pagine da poco pubblicato da Arcana.
Un esito tanto sostanzioso ci ha subito incuriosito e indotto a chiedere chiarimenti – ed eventuali retroscena – all’autrice.

Come puoi immaginare, davanti a Parola di Faber, qualcuno avrà pensato “Oh no, un altro libro su De André”. C’era dunque bisogno di uno sguardo originale che tu hai trovato seguendo il filo dei concerti dal vivo. Come è nata questa idea?

In effetti la bibliografia su Fabrizio De André è di gran lunga la più ricca in assoluto per quanto riguarda gli artisti italiani e forse anche di buona parte di quelli stranieri. Parola di Faber è da sempre il mio sogno nel cassetto, l’unico libro che abbia mai potuto pensare di realizzare di mio pugno, la materializzazione di una vita di amore incondizionato per colui che reputo essere la mia guida spirituale, il mio nume tutelare, un uomo e un artista che ho avuto la fortuna immensa di conoscere e di seguire per molti anni dall’adolescenza fino a quell’ultimo suo concerto in Liguria, ad Arenzano, l’8 agosto 1998. Sostengo da sempre che la musica di Fabrizio ha costantemente  viaggiato fianco a fianco alle sue parole. Quelle parole generose, forti, colte e divertenti che ci ha regalato senza risparmiarsi mai dal suo debutto sul palco nel 1975 alla Bussola di Sergio Bernardini fino a quelle destinate a suscitare scalpore nell’ultimo concerto a Roccella Jonica, il 14 agosto 1998. Non potevo non iniziare il mio lavoro di ricerca se non dalle parole di Faber.

È un libro di oltre 600 pagine. Quanto ti ci è voluto per approntarlo? Ci sono stati momenti di scoramento?

Il lavoro è stato intenso e meticoloso; ascolto da sempre i live di De André, momenti unici per riappropriarsi di quelle emozioni che solo chi l’ha visto in concerto può provare. Ho ascoltato oltre 150 registrazioni su supporti di ogni tipo, nastri, cd, mp3. Ho dedicato oltre un anno a fare mie le sue parole, tornando spesso indietro decine di volte su una frase o un inciso per rendere al meglio ciò che intendeva esprimere. Qualche volta la fatica si è fatta sentire, subito ripagata però dalla bellezza di ciò che riuscivo ad estrapolare da supporti talvolta di scarsa qualità; insomma il miracolo delle parole di Faber è stato superiore a qualsiasi sforzo. Non mi sono mai arresa, troppo grande l’emozione di riuscire a riportare in vita molti suoi discorsi ancora troppo poco conosciuti.

Numerose pagine sono dedicate proprio agli interventi per presentare le canzoni.

Questi ascolti a volte faticosi mi hanno rivelato la bellezza e la forza dei discorsi di Faber, l’impegno che profondeva nel comunicare al suo pubblico ciò che la sua musica esprimeva con le sonorità sublimi a cui ci ha abituati; un rapporto quello con i suoi fans cresciuto nel tempo fino a diventare indissolubile.

Qualcuno ti ha aiutato nel reperimento dei materiali o nello sbobinamento?

Io, così abituata al contatto con il pubblico, così entusiasta dell’affetto che mi circonda (e che spero di ricambiare adeguatamente) in certi momenti sono una solitaria che ama rifugiarsi nel proprio mondo. Quindi ho ascoltato nella tranquillità del mio studio tutta la bellezza delle parole e della musica di Faber che da sempre condivido sotto forma di “scambi” con amici storici che come me sono incontenibili appassionati e come me incalliti collezionisti di rarità faberiane.

Sei una rispettatissima filologa deandreiana. Eppure immagino che persino tu, nel corso di questo scavo in profondità, abbia scoperto qualcosa di inedito o poco noto. Per quanto mi concerne, mi ha stupito quanta importanza avesse nel repertorio live degli anni ’70 Via Della Povertà, cover di Desolation Row di Bob Dylan.

Con Fabrizio non si finisce mai di scoprire nuovi orizzonti, soprattutto quelli della parola ci appaiono nelle loro totalità come un’autentica enciclopedia del sapere, una conoscenza che è un percorso di vita utile a ciascuno di noi. Questo De André ha saputo esprimerlo meglio di qualsiasi altro nella semplicità e nella schiettezza che era alla base dei suoi discorsi pubblici. Era un intellettuale vero che sapeva spaziare dai massimi sistemi agli argomenti più terreni e aveva la straordinaria capacità di rendersi comprensibile a tutti coloro che negli anni si sono avvicinati a lui, dalle generazioni come la mia che hanno avuto la fortuna di conoscerlo e vederlo sul palco a quelle dei giovani di oggi che hanno spesso ben altri modelli artistici.

Una corposa parte del tuo testo è dedicata alle variazioni testuali apportate da Fabrizio durante l’esecuzione dal vivo dei pezzi. Non poteva essere un volume a parte?

In effetti poteva anche diventarlo, ma ho ritenuto più appropriato concentrarmi sui discorsi evidenziando le variazioni, le cosiddette “libertà di parola” più interessanti come quelle a cui accenni a proposito di Via della povertà, che De André arricchì di riferimenti ai personaggi oggetto delle sue riflessioni e dei suoi strali. La suonò nel suo primo tour e la portò avanti  anche negli anni Ottanta, periodo in cui al governo c’erano i socialisti di Craxi.

A detta di alcuni De André non era un grande comunicatore live. In effetti in alcuni momenti il suo approccio è fin troppo ruvido oppure troppo provocatore, come nel caso di quell’ultimo concerto a Roccella Jonica. Tu che ne pensi?

Fabrizio non era una showman ma era, a mio avviso, un intrattenitore straordinario. Se così non fosse io non sarei mai riuscita a mettere insieme oltre 600 pagine di libro e lui non sarebbe stato così amato dal pubblico che durante i concerti restava in religiosa attesa dei suoi interventi. Ed erano interventi che andavano dai semplici saluti alle argomentazioni diverse per ogni tour e alle inevitabili e gradite improvvisazioni, magari dopo aver ascoltato la voce dei fan.

De André ha mai sorriso durante un concerto?

Faber era incredibilmente empatico con il suo pubblico, basta leggere il libro per comprendere come al di là della capacità di concentrazione, dell’ansia di perfezione quasi maniacale, ci fosse in lui una voglia di divertire, di non prendersi troppo sul serio. Le battute si sprecavano, durante e dopo i concerti nelle lunghe ore di backstage quando si faceva la fila davanti al camerino per salutarlo.

Il tuo più bel concerto di Fabrizio? 

Sicuramente quello del mio incontro con lui. Era il 22 Settembre del 1984, l’appuntamento con Fabrizio al Palasport, alla Fiera Internazionale di Genova, debutto genovese di Creuza de mä. La tensione nell’aria era palpabile. Genova non è per nessuno una piazza facile, quelle ore prima del concerto furono un’attesa che si trasformò in un’apoteosi di bellezza e di emozioni. E poi io gli parlai per la prima volta con tutta la timidezza che mi portavo appresso allora… Ricordo ogni istante della nostra conversazione, persino le pause nel discorso. Galeotta fu la Fiera… E poi così di fronte al mare, il nostro orizzonte comune.

Progetti editoriali per il futuro? Ci risulta che tu abbia 200 pagine di outtakes…

La capacità di sintesi non mi appartiene e sono partita senza immaginare che non sarei riuscita a fermarmi. Troppe le emozioni, troppe le cose da dire, ma spero di aver colto nel segno. Aggiungo che il mio editore si è assai dispiaciuto all’idea di dover sacrificare, per esigenze redazionali, pagine bellissime regalatemi da persone davvero straordinarie che hanno conosciuto e lavorato con De André. Quindi dovrete aspettarvi un seguito a questa mia fatica, diverso da Parola da Faber, ma che spero possa emozionare per i suoi contenuti… Insomma, il prossimo Natale dovrei tornare in libreria.

Hai voglia di raccontare, per chi non ne sa nulla, cos’è viadelcampo29rosso, la “casa dei cantautori” che tu gestisci a Genova?
Tra poco più di un mese, il 25 febbraio per esattezza, viadelcampo29rosso compirà 10 anni dalla sua apertura. Lo spazio museo di proprietà del Comune di Genova, gestito dalla Cooperativa Solidarietà e Lavoro che vede in me la Responsabile dei Contenuti Museali, è un piccolo scrigno di bellezza e cultura nel cuore del Centro Storico di Genova, nella Via del Campo che Fabrizio De André ha amato, frequentato e cantato. Oltre 50.000 visitatori ogni anno vengono da noi per ritrovare Faber e, insieme a lui, Tenco, Paoli, Lauzi, Bindi, Fossati, Cristiano De André, Max Manfredi e molti altri cantautori della cosiddetta “nuova scuola genovese”. Un presidio culturale e sociale vitale per la città e per tutti coloro che amano la musica.

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Nello scorso secolo e in parte di questo ha collaborato con Rockerilla, Musica!, XL e Mucchio Selvaggio. Ha tradotto per Giunti i testi di Nick Cave, Nick Drake, Tom Waits, U2 e altri. E' stato autore di monografie dedicate a Oasis, PJ Harvey e Cranberries e del volume "Folk inglese e musica celtica". In epoca più recente ha curato con John Vignola la riedizione in cd degli album di Rino Gaetano e ha scritto saggi su calcio e musica rock. E' presidente della giuria del Premio Piero Ciampi. Il resto se lo è dimenticato.

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