Il Premio Pulitzer a Kendrick Lamar fa subito polemica.
L’annuncio del premio Pulitzer a Kendrick Lamar dà adito a dibattiti e polemiche, non meno del Nobel a Bob Dylan. Anche se, va detto, non sono poche le differenze. Nel caso del Nobel a Dylan, erano stati alcuni sedicenti puristi della letteratura ad aver trovato il riconoscimento un’invasione di campo. Per Kendrick Lamar, la confusione è la prima responsabile delle polemiche: tutti pensano al Pulitzer in rapporto a letteratura e giornalismo, ignorando che ne esiste uno per la musica. E lo ignorano non a caso, dal momento che sinora erano stati premiati solo musicisti di ambito classico o jazzistico, generalmente sconosciuti ai più (ma ci sono stati anche Wynton Marsalis e Ornette Coleman) e dunque premiabili o trascurabili esattamente nella stessa maniera.
Perché si critica il Premio Pulitzer a Kendrick Lamar?
Fra quanti lo sanno o almeno hanno capito che è il Pulitzer alla musica, scatta un altro meccanismo: l’odio per il rap, che è un misto fra cascami di razzismo e di incomprensione per lo stile, che generalmente riguarda quanti pensano che l’unica musica buona è quella che sentivano loro quando avevano vent’anni e adesso ne hanno qualcuno in più (e figuriamoci: già si vedono i primi nostalgici del rap anni ’90). Oggi l’hip-hop ricopre il ruolo che negli anni ’70 aveva il rock . È cioè la musica del presente, ma proprio per questo al suo interno si trova di tutto: vette eccelse e schifezze tremende; sperimentazione e pop; banalità e novità. Esattamente come nel rock anni ’70, che non era poi soltanto oro, e basterebbe che i nostalgici si asciugassero le lacrime del rimpianto per vederlo.
Kendrick Lamar e gli inni di una nuova generazione
Che il Premio Pulitzer sia associato al giornalismo non è un caso: le assegnazioni di quest’anno mostrano che il fulcro del riconoscimento sta nel rapporto con l’attualità. Se questo è il presupposto, l’assegnazione a Kendrick Lamar diviene perfettamente comprensibile. Nessun artista oggi è così rilevante sotto il profilo commerciale quanto sotto quello politico e culturale. Negli Stati Uniti le sue canzoni si discutono in tv (come Fox News, ripresa all’inizio di DNA) e i manifestanti del Black Lives Matter cantano Alright come generazioni precedenti hanno cantato i propri inni.
I testi di Kendrick Lamar premiati dalla giuria del Pulitzer
Della qualità dei testi non dovremmo nemmeno parlare. Non tanto perché è ovvia, quanto per il fatto che sinora, come detto, il Pulitzer non aveva neppure premiato musica cantata. In ogni caso, la giuria ne ha sottolineato le qualità narrative, “l’autenticità del linguaggio e il dinamismo ritmico”. Si può immaginare in riferimento tanto alla musica quanto alla parte vocale. Nel rap, come nella musica popolare in genere, le due cose sono inscindibili. Basterebbe comunque, per restare sull’ultimo DAMN, la narrazione degli intrecci biografici di Duckworth, oppure la splendida Fear, nella quale Lamar ripercorre tre differenti momenti della sua vita che corrispondono a tre diversi tipi di paura.
Resta da vedere se si tratta di un caso unico oppure se la giuria vuole approfittarne per rendere più visibile il premio, per immergerlo nell’attualità come fa per le altre categorie. In ogni caso, se da qualcuno dovevano cominciare, non poteva che essere Kendrick Lamar.