Blur Lucca 2@Simon Cripps

22 luglio 2023: i Blur lasciano il segno anche nell’unica data italiana della tournée.

Amo questi ragazzi. 

Scoperti per caso (all’epoca funzionava così) con l’omonimo esordio del ’91, i Blur mi hanno definitivamente rapito con l’epifania di Modern Life Is Rubbish (che titolo meraviglioso!), ovvero il pop inglese come non si sentiva più dai tempi di Waterloo Sunset e da lì in avanti sono stati una serie di dischi che hanno consolidato nel mio cuore e nelle mie orecchie già usurate (ero già un over 25, quindi vecchio) una vera e propria adorazione per questi moderni nuovi maestri della musica d’oltremanica, con il tripudio pop di Girls & Boys, la gloria di The Great Escape, la raffinata, introversa, splendida e falsa mutazione di Blur, il commiato struggente di 13, il crepuscolare Think Tank, il prescindibile The Magic Whip. 

In mezzo, la vita di Damon, Graham, Dave e Alex è andata avanti tra alti e bassi, piccoli episodi e tensioni amplificati in un’epoca in cui i dischi si vendevano sul serio e i soldi erano tanti da farti perdere la testa. Ma in tutto questo i ragazzi di Colchester sono rimasti sempre presenti a sé stessi (a parte i demoni personali, soprattutto di Coxon, che sembrava a un certo punto definitivamente perso nella bottiglia), migliorando di album in album, crescendo, cambiando, maturando ma sempre con quel luccichio pop che pochissimi altri sono stati in grado di avere. La materia delle loro canzoni infatti si vedeva sin da subito che era un prezioso e raro diamante fatto di talento, presenza e capacità di scrivere canzoni che attualizzavano agli anni ‘90 la grande tradizione del pop inglese, che parte dei Beatles, poi Kinks, passa da Bowie e arriva agli XTC.

I Blur nel nuovo secolo

Si sono presi e ripresi più volte negli ultimi 20 anni, anche con ritorni live memorabili (i concerti di chiusura delle olimpiadi i Londra 2016), e così si sono ripresi anche in questo 2023, lasciando illustri o illustrissimi progetti paralleli (Coxon con the Weave, Albarn con i Gorillaz, la nuova carriera solista di Rowntree, il commercio di formaggi di James).

Ed eccoli quindi a Lucca di fronte a 40.000 fans, adoranti e competenti, nell’unica tappa italiana di un tour che in Inghilterra un paio di settimane fa li ha omaggiati con una sorta di incoronazione nella cattedrale laica di Wembley.

Il concerto di Lucca

E, diciamolo subito, i nostri ragazzi hanno suonato un set straordinario per forza ed entusiasmo. Si è visto subito, appena entrati in scena, che erano divorati da una meravigliosa voglia di suonare, forte, sporco, sbagliando anche. ma con un entusiasmo tipicamente rock; sono entusiasti, vogliono divertire e divertirsi, si vogliono bene (a chi non è scesa una lacrimuccia al bacino di Albarn a Coxon durante Tender?) e, per due ore di concerto, faranno vibrare lo spazio sotto le mura in un memorabile concerto generoso, durante il quale faranno ballare e cantare il pubblico in estasi.

@ Simon Cripps

Inizio folgorante con St. Charles Square, Albarn che fa Bowie, ma soprattutto Coxon che pare un clone perfetto di Fripp e si vede subito che i ragazzi il palco lo vogliono incenerire con la loro musica.

Da lì è un passare in rassegna le gemme di un catalogo strabiliante (se uno solo pone mente a che pezzi hanno lasciato fuori… Blue Jeans? Sunday Sunday? Sono solo due a caso, eh, ma è un gioco che porta troppa sofferenza, meglio lasciar perdere), con le hit  che tutti vogliono assieme a piccoli tesori nascosti (Villa Rosie) e con i pezzi dell’ultimo recentissimo e già adorato The Ballad of Darren.

Albarn si butta tra il pubblico, felice e generoso, Coxon accarezza e schiaffeggia la sua chitarra, sempre in un mirabile equilibrio che solo a pochissimi musicisti di razza è concesso, tra la celestiale melodia che ti apre il cuore e la furia distruttiva e rumorosa, che quello stesso cuore ti strapazza  e fa a brandelli; e poi Rowntree puntuale ai tamburi, senza perdere un colpo e James che sorregge il tutto con un basso amplificatissimo e la sigarette tra le labbra.

Strepitosi anche quando prendono con un  sorriso (anche se sono sicuro con una furibonda incazzatura interna) i problemi tecnici che interrompono due volte l’amplificazione (problemi imperdonabili per un concerto di questo livello, l’organizzazione ci rifletta). Loro li affrontano divertiti, scherzando con il pubblico, mentre Albarn, fuori scaletta, attacca al piano la deliziosa marcetta di Intermission, portando il resto del gruppo a seguirlo nelle giravolte accelerate di quel piccolo gioiello da Modern Life is Rubbish.

Nel tornado pop che scuote il pubblico, al solito è quasi impossibile scegliere quali i pasticcini più deliziosi: personalmente direi Beetlebum, tirata, immensa (ah, come mi piacerebbe ritrovare quelli che all’epoca lo definirono un singolo minore, perché era lento e poco ballabile), con Coxon da congelare e mettere in una teca come simbolo della perfezione del chitarrismo pop; poi Coffee & TV (sempre Coxon a faci sognare, con uno degli attacchi più mirabili della musica inglese degli ultimi settant’anni), il giro killer di Country House che ti fa chiedere come sia possibile perdere la voce a quasi sessant’anni cantando a squarciagola, l’irresistibile luna park di Parklife, l’esordio live di quella piccola chicca di Barbaric, dall’ultimo disco, roba da poter vantarsi con gli amici dicendo “Io c’ero!”, il ballo sfrenato di Girls & Boys, il gospel laico di Tender, il saluto commovente di The Universal.

Un concerto trionfale fra passato e presente

L’impressione alla fine è di avere davanti non un gruppo da repertorio (non penso nemmeno sappiano il significato della parola), che si riunisce di tanto in tanto per fare cassa con tour all’insegna del come eravamo felici a venti anni, quanto invece un gruppo in piena salute, teso, attento, vivo, con le orecchie ben tese a intercettare suoni e umori e con la voglia di fare e scrivere ancora parecchia musica; in questo scenario anche la polo Fila e la felpa sempre Fila che Albarn indossa durante il concerto e poi per per Girls & Boys, uguale a quella del video originale, appaiono più deliziosi vezzi intrisi di british humour che non un inutile sguardo al passato.

Il passato i Blur ce lo hanno, anche bello grosso e lo celebrano e lo cantano (non è colpa loro se For Tomorrow l’hanno scritta trent’anni fa), eppure sempre con quel tocco in più di entusiasmo e indole rock ‘n’ roll che ti consente di riascoltare quelle meraviglie sempre con un luccichio gioioso negli occhi, e che ti permette di restare ancora una volta a bocca aperta, stupefatto e profondamente felice di fronte ai pezzi anche dell’ultimo disco (di Barbaric e di St. Charles Square, abbiamo già detto, ma The Narcissist, con la solita micidiale mistura di scrittura e di melodia che ti lega a sé per sempre, è già nel cuore di tutti).

A fine concerto la gente si allontana e li vedi, sì sono felici; poi nella notte da sotto le mura si sente l’ebbro coro di un gruppo di ragazzi che non riescono a smettere…“Come on, come on, come on, love’s the greatest thing that we have”…

Che concerto meraviglioso.

Grazie ai Blur stanotte veramente “no one here is alone”.

La foto di copertina è di Simon Cripps.

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Classe 1965, bolzanino di nascita, vive a Firenze dal 1985; è convinto che la migliore occupazione per l’uomo sia comprare ed ascoltare dischi; ritiene che Rolling Stones, Frank Zappa, Steely Dan, Miles Davis, Charlie Mingus e Thelonious Monk siano comunque ragioni sufficienti per vivere.

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