di Marina Montesano e Antonio Vivaldi
Drones e King Gizzard: due dischi fra loro diversissimi quanto a suoni, ma accomunati dalla provenienza australiana e da una percepibile vena di follia
Drones – Feelin Kinda Fre.
C’è chi aspetta con ansia l’uscita del nuovo disco dei Radiohead, chi quella del prossimo Drones. Per quanti non lo sapessero, si tratta di un’epica band australiana in giro da tempo, ricca di una produzione discografica e di live feroci. Ballate di galeotti nelle colonie penali inglesi, spirito punk, emozioni a profusione. Il nuovo disco è uscito, si chiama Feelin Kinda Free ed è una meraviglia, decisamente superiore al pur ottimo I See Seaweed. Siamo di fronte ai Drones migliori, ma anche a una nuova versione della band, nonostante la formazione guidata da Gareth Liddiard sia ancora la stessa e sia anche riconoscibilissima.
Ma qui l’approccio adottato è quello di un punk free, con spunti di elettronica accanto alle consuete chitarre, che colpisce forte sulle iniziali Private Execution e Taman Shud. Poi ci sono tre ballate, To Think That I Once Loved You, Tailwind e soprattutto la magnifica Then They Came For Me, abrasive al limite del sopportabile, e ancora la spettrale Sometimes, cantata da Fiona Kitschin, e le quasi sperimentali , destrutturate, Boredom e Shut Down SETI. Solo otto brani, ma di quelli destinati a esser riascoltati spesso. I testi sono altrettanto belli, densi di commenti sociali senza mai essere pedanti, e anzi immaginifici e a tratti toccanti. Un disco che non venderà quanto meriterebbe, ma per quanti decideranno di ascoltarlo un vero pugno nello stomaco. (Marina Montesano)
8,5/10
King Gizzard And The Lizard Wizard – Nonagon Infinit.
Oltre quarant’anni fa un critico inglese descrisse gli Hawkwind come “quattro ore di 4/4 con occasionali passaggi in 8/8”. In apparenza, la stessa cosa si potrebbe dire oggi di Nonagon Infinity di King Gizzard And The Lizard Wizard. Il disco è strutturato come un gruppo di riff e passaggi cantati che si susseguono, incastrano, rincorrono nel corso di 41 minuti monolitici e sfuggenti al tempo stesso. L’episodio finale si collega a quello iniziale rendendo l’album ascoltabile all’infinito (da cui il titolo). Facendo ampio uso di cut-up e rimissaggi maniacali, la formazione di Melbourne crea un lavoro a suo modo memorabile in cui si fondono garage e psichedelia, prog e dark sound, Hawkwind (ovviamente) e Black Sabbath, headbanging nevrastenico e fluide scale armoniche ‘orientali’.
Di primo acchito Nonagon Infinity può suonare massiccio se non punitivo, oltre che troppo ancorato a un’ideologia ‘1970 forever’; a poco a poco emerge però la dimensione tra il giocoso e il folle di un suono che si potrebbe definire psico-nerd e che, grazie anche a un paio almeno di riff strepitosi, risulta alla fine piuttosto godibile. In un certo senso, anche questo disco, come quello dei Drones, è un pugno nello stomaco, ma un pugno nello stomaco da film di Hong Kong, con il colpito che si piega in due per il dolore un secondo prima di quando dovrebbe. (Antonio Vivaldi)
7,5/10