erland cover 3

erland cover 3

di Antonio Vivaldi

Ovvio che se di primo nome fai Gawain (per noi Galvano) e arrivi dalle ventosissime isole Orcadi, la tua vita e i tuoi capelli non possono che essere movimentati. Gawain Erland Cooper passa la gioventù a studiare le composizioni classiche dell’austero Ralph Vaughan Williams e il folk barocco di Bert Jansch e Davey Graham; trasferitosi a Londra, invece di fare comunella con altri folkettari, comincia a suonare insieme a un chitarrista dal pedigree brit-pop, Simon Tong (Verve, Blur, The Good, The Bad & The Queen) e a un batterista/tecnico del suono di provenienza ancora diversa, David Nock (Orb, Cult). Scelto il nome Erland & The Carnival (Gawain, chissà perché, è stato messo da parte), il bizzarro trio incide nel 2010 la strepitosa opera prima E & TC e si riconferma ad alti livelli l’anno seguente con Nightingale. I due lavori vanno considerati fra i vertici espressivi del cosiddetto neo-folk o alt-folk grazie alla loro fusione fra brani e temi tradizionali e atmosfere che viaggiano fra prog, pop e psichedelia dai toni fra l’arcano e il perturbato. Nel 2012 Cooper e Tong incidono, insieme ad Hannah Peel, Orkney Symphony Of The Magnetic North, un album dedicato alle isole Orcadi tutto vento (come si diceva), cimiteri e mari in burrasca che oggi scopriamo essere stato un addio al suono ‘dark folk’ fin qui architettato dai due (https://www.tomtomrock.it/recensioni/30-orkney-symphony-of-the-magnetic-north-full-time-hobby-2012.html).
“Per Closing Time abbiamo scartato un intero album di materiale che suonava come i primi due album. Volevamo fare qualcosa di diverso” spiega Cooper. L’intento è certo lodevole, tuttavia l’ascolto dice che forse non è stata una buona idea. Attenzione, parliamo di musica di livello superiore alla media, però mancano le melodie epico-trascinanti-oscure come You Don’t Have To Be Lonely o Emmeline o i tradizionali ricontestualizzati in contesti spiacevolmente moderni tipo The Derby Ram. Al loro posto si ascolta una serie di canzoni che si potrebbero definire pop d’autore che ricordano Divine Comedy (senza però l’elegante turgore) e persino Paul Weller, non a caso presente in chitarra e seconda voce su due brani. E’ come se alla fine mancasse qualcosa, se tutto si fermasse un passo oltre la maniera, ma un passo prima dell’intensità; anche dopo diversi ascolti manca il salto d’emozione e viene sempre più voglia di ascoltare quel disco di materiale ‘scartato’.

6,3/10

P.S. Tre domande. Dov’è finito David Nock, assente in Closing Time? E perché praticamente nessuno ha ancora recensito questo album? Tutti perplessi?

 

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Erland & The Carnival – Quiet Love 

 

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