ezra furman perpetual

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Ezra Furman personaggio e artista

Desiderio di diventare rabbino che si accompagna a dichiarata bisessualità e a concerti in abiti femminili (tipo bambino che mette quelli della mamma); pulsioni suicide e creatività omicida (nel senso di centinaia e centinaia di canzoni scritte). Nel caso di Ezra Furman il personaggio rischia di far passare in secondo piano l’artista, un po’ come accade per il quasi altrettanto rutilante Ariel Pink. L’inevitabile domanda è: sotto lo smalto rosso le unghie ci sono davvero? Con queste premesse, e a fronte di tutto l’hype alternativo della stampa di lingua inglese, l’accostamento al terzo album come solista del magro giovanotto di Chicago è inevitabilmente dubbioso. Per non parlare delle figure di riferimento Lou Reed, Jonathan Richman, Violent Femmes… ehilà, andiamoci piano.

Perpetual Motion People un disco eclettico

Una volta tanto, l’ascolto soffia via i dubbi anziché addensarli. Di primo acchito Perpetual Motion People è un disco che scorre alla grande nella sua caleidoscopica ecletticità. Ma basta poco per scoprire che i ritmi contagiosi e la vocalità sfrontata sono compagni di stanza un po’ imbarazzati di un’agitazione interiore che accosta, tanto per fare un esempio, un ritornello doo-wop a una frasetta che dice “(La morte!) è il mio ex datore di lavoro/ (La morte!) è il mio Tom Sawyer personale/ (La morte!) aspetta me perché la distrugga/ Non voglio morire mai e non invecchierò mai più di così, yeah!”

 

Tutto questo gioco di contrasti affascinante e morboso al tempo stesso funziona perché Furman è più onesto che compiaciuto nel raccontare la sua confusione ed è scrittore di talento, come mostrano la malinconia cantautoriale di Ordinary Life, l’improbabile pub-rock di Wobbly o il power-pop con sassofono di Body Was Made. Si può dire che Perpetual Motion People è il disco di uno che si sforza di star bene e un pochino ci riesce. Alla fine Furman intona la preghiera One Day I Will Sin No More e la cosa strana è che sembra già purificato dai peccati. A modo suo.

7,8/10

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Nello scorso secolo e in parte di questo ha collaborato con Rockerilla, Musica!, XL e Mucchio Selvaggio. Ha tradotto per Giunti i testi di Nick Cave, Nick Drake, Tom Waits, U2 e altri. E' stato autore di monografie dedicate a Oasis, PJ Harvey e Cranberries e del volume "Folk inglese e musica celtica". In epoca più recente ha curato con John Vignola la riedizione in cd degli album di Rino Gaetano e ha scritto saggi su calcio e musica rock. E' presidente della giuria del Premio Piero Ciampi. Il resto se lo è dimenticato.

Di Antonio Vivaldi

Nello scorso secolo e in parte di questo ha collaborato con Rockerilla, Musica!, XL e Mucchio Selvaggio. Ha tradotto per Giunti i testi di Nick Cave, Nick Drake, Tom Waits, U2 e altri. E' stato autore di monografie dedicate a Oasis, PJ Harvey e Cranberries e del volume "Folk inglese e musica celtica". In epoca più recente ha curato con John Vignola la riedizione in cd degli album di Rino Gaetano e ha scritto saggi su calcio e musica rock. E' presidente della giuria del Premio Piero Ciampi. Il resto se lo è dimenticato.

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