max cooper human recensione

“Siamo umani, o siamo danzatori?” si chiedeva Brandon Flowers dei The Killers nel singolo Human, tratto da Day & Age del 2008: il danzatore è l’individuo superomico che sfida volteggiando i propri limiti fisici e morali, che supera le leggi ‘umane troppo umane’ della natura. Max Cooper risponde alla domanda con un album di Intelligent Dance Music: le due componenti, umana e  oltreumana, avantguard-techno e dance, si uniscono qui in un litigioso abbraccio di sperimentazione sonora.

Woven Ancestry – che apre il disco – è un incantevole sogno chitarristico e, come la fatina verde che vive nell’assenzio, vuole la nostra anima; una volta presa non la lascerà tanto facilmente. Troppo tardi, siamo caduti nella trappola e ora ci tocca ascoltare Human fino alla fine. Col trip-hop spigoloso di Adrift (ft. Kathrine deBoer), Cooper ci lascia prendere il respiro prima di tuffarci nell’anima del disco: si nuoterà tra correnti techno-house (Automaton), deep-funk (Supine, Numb), ambient (la splendida Empyrean), in un mare popolato da disturbi elettronici e glitch.

Per fare qualche parallelo potrei citare gli storici Boards of Canada o il Jon Hopkins di Immunity (2013), ma se non sapessi che si tratta del suo primo Lp, ascoltandolo avrei pensato che anche il 34enne Max Cooper fosse uno dei grandi nomi dell’elettronica di oggi.

E’ necessario spendere alcune parole per Impacts, uno di quei pezzi che “toglilo ti prego ho mal di testa”: seriale e snervante, è il trionfo della prosaicità sulla potenza, dell’uomo sull’oltreuomo; l’apollineo posticcio, industriale e alienante, che soffoca ogni dionisiaco impulso alla danza. ”Are we human, or are we dancers”? Max Cooper non esiterebbe a rispondere: “Human”.

Max Cooper – Human (Fields – 2014)
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Amo la critica letteraria e quella musicale. Sono laureato in Arts, Lettres, Langues all’Università di Parigi (Sorbonne Nouvelle) e curo un blog letterario di nome Blu Carmeo.

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