Michele Gazich – Temuto Come Grido, Atteso Come CantoFonoBisanzio - 2018

Michele Gazich e la genesi di Temuto Come Grido, Atteso Come Canto.

Parlare di un disco di Michele Gazich comporta spesso un rischio, e questa volta forse ancora più di altre: quello di mettere in secondo piano il musicista per concentrarsi sul messaggio di “cultura militante” e di toccante umanità che salta in primo piano ad ogni parola. In questa ultima fatica, che esce a un paio d’anni di distanza dal bellissimo La Via Del Sale, tutto ciò è ancora più evidente. Il titolo  Temuto Come Grido, Atteso Come Canto (FonoBisanzio) viene da una frase di Michel Foucault. E già il riferimento al filosofo francese studioso dei meccanismi di esclusione e di reclusione la dice lunga. Gazich si è volontariamente “recluso” per qualche tempo nel vecchio manicomio situato sull’isola veneziana di San Servolo e ne ha esplorato l’archivio compulsando cartelle cliniche e documentazione di vario genere, comprese le lettere dei e ai ricoverati.

Michele Gazich e Mary Gauthier, un approccio comune

L’operazione presenta non pochi punti di contatto con quella compiuta da Mary Gauthier nel suo Rifles & Rosary Beads. Anche se in quel caso si faceva ricorso a fonti orali e a una realtà più vicina nel tempo. E certo non è un caso che proprio di Mary Gauthier Gazich sia collaboratore assiduo e apprezzatissimo. I testi traggono origine da materiale, per così dire, d’archivio, ma non si deve pensare a una fredda narrazione “storica”.

L’essersi autorecluso nel vecchio edificio che ha visto dipanarsi quelle vicende ha portato il musicista bresciano ad immedesimarsi a tal punto da trasfigurarsi in esse fino a riviverle quasi sulla propria pelle. Non a caso la narrazione è sempre in prima persona. L’empatia con questi poveri esseri umani senza colpe se non quella della marginalità – e spesso di una sensibilità “eccessiva” e fuori sintonia col mondo che li circonda – è evidentissima in ogni pezzo e il “grido” disperato si fa “canto” accorato.

I contenuti di Temuto Come Grido, Atteso Come Canto

“Alcuni ci compiangono a parole / Per pietà danno cibo e vestiti / Ma se dico che voglio partire / Nessuno che mi porti via” si dice nell’introduttiva L’Isola. Difficile scegliere i pezzi più “rappresentativi” di un disco che fa di una conseguente unitarietà la sua “cifra” principale, ma è anche difficile non rimanere particolarmente impressionati da alcuni brani. Come Torquemada, agghiacciante ritratto di un medico aguzzino costruito facendo parlare lui stesso attraverso i suoi rapporti. O Teste Legate, dedicata a Sylvia Plath. Oppure Caminanti, il cui testo in quel veneziano “Caminante che no ga el camino / I ga da caminar” riecheggia il Machado di Cantares.

O ancora la bellissima Maltamé, cantata nella antica lingua degli ebrei veneziani e impreziosita anche dalla splendida voce di Rita Tekeyan. E commovente è la finale Anna Te Scrivo, cantata in veneziano e portatrice delle speranze, nonostante tutto, di un ricoverato che scrive alla sua amata facendo progetti per il suo futuro fuori da là.

Michele Gazich musicista

Ma siamo caduti nel rischio paventato all’inizio, quello di mettere involontariamente in secondo piano il Gazich musicista: che certo non lo merita. Folk italiano marcato da una forte “koinè adriatica” venato di klezmer e di alt-country, al quale certo l’assidua contiguità con personaggi come Eric Andersen e la citata Mary Gauthier non è estranea.  Arrangiato in maniera essenziale, ma raffinatissima, il disco è anche musicalmente in delicato equilibrio tra pathos e rabbia. Il violino di Gazich sa commuovere e sa graffiare, così come la sua voce, e il musicista bresciano mostra costantemente un talento melodico che ha pochi eguali.

Michele Gazich – Temuto Come Grido, Atteso Come Canto
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“Giovane” ultrasessantenne, ha ascoltato e ascolta un po' di tutto: dalla polifonia medievale all'heavy metal passando per molto jazz, col risultato di non intendersi di nulla! Ultimamente si dedica soprattutto alla scoperta di talenti relativamente misconosciuti.

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