Alicia Keys fra Originals e Unlocked, due parti del suo nuovo Keys.
Quindici mesi: Alicia Keys non aveva mai lasciato passare così poco tempo tra la pubblicazione di due album. Se aggiungiamo un’autobiografia (More Myself: A Journey), una serie su YouTube (Noted: Alicia Keys The Untold Stories), una linea di prodotti di bellezza, si evince in che modo la quarantenne artista newyorchese abbia deciso di reagire a questi due anni complicati. Limitandoci al musicale, non avendo testato personalmente l’efficacia dei suoi prodotti per la cura della pelle, il precedente Alicia, uscito a settembre 2020, aveva lasciato l’amaro in bocca. Keys (RCA) invece, è una lieta sorpresa.
Un doppio album con preferenza per il primo
Anche se risulta abbastanza inspiegabile la scelta di pubblicare un doppio album con le stesse canzoni suonate prima in versione Originals (voce, pianoforte e poc’altro) e poi Unlocked, cioè in una versione decisamente più prodotta e immaginata per un pubblico e una fruizione decisamente differente. Soprattutto perché le seconde aggiungono davvero poco. Se non la conferma che quando una canzone funziona davvero, ogni orpello finisce per appesantirla inutilmente.
Con Keys, torna una Alicia Keys in ottima forma
Il primo disco si apre con Plentiful che contiene un sample di The Truth di Beanie Sigel, produzione Kanye West, a sua volta derivato dalle tastiere di Chicago di Graham Nash. Buon inizio confermato dal mid-tempo di Skydive e da Best of Me dove invece la citazione arriva da Cherish the Day di Sua Maestà Sade.
Ma il meglio deve ancora arrivare: Dead End Road (dove c’è lo zampino del produttore norvegese Fred Ball) è uno struggente e accorato appello a non abbandonare la speranza: Try to make it / When you feel like you’re living on Dead End Road. Ma è con Is It Insane che Keys supera ogni aspettativa, scrivendo un vero e proprio standard del futuro, degno erede della tradizione dei grandi songwriters del passato. La recensione potrebbe anche fermarsi qui. Per onor di precisione bisogna segnalare anche Old Memories, inevitabilmente e piacevolmente retrò, Nat King Cole che sembra scritta da John Barry per un vecchio 007 e una classica ballata d’amore come Like Water. Del secondo disco poco da dire: anche perché, limitando il giudizio al primo, non mi sento costretto a fare la media matematica tra i due, mantenendo il voto decisamente più alto di quanto il risultato complessivo meriterebbe.
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