Andrea Van Cleef - Horse Latitudes

Horse Latitudes: Andrea Van Cleef e la sua idea di “Americana”.

Se avete finora pensato che Brescia stesse più o meno a un terzo della strada che collega Milano con Venezia ascoltando Horse Latitudes vi dovrete ricredere: sta più o meno a metà strada tra Nashville e Austin. e ve lo spiega bene l’autore del disco, Andrea Van CleefIl musicista bresciano, autore sia dei testi sia della musica, abbandona sostanzialmente quello stoner rock che ne aveva contraddistinto la precedente produzione discografica per virare verso quel genere ormai indicato con  il termine, tanto onnicomprensivo quanto in realtà vaghissimo, che va sotto il nome di “Americana”. Ma è un’ “Americana” ancor più allargata del solito, che deve molto sia a un country quasi puro sia a un certo desert rock e in cui si fa sentire, anche per merito della voce calda e profonda di Van Cleef, l’influsso di Johnny Cash.

Andrea Van Cleef e i suoi ‘maestri’

Come ci si potrebbe aspettare con queste premesse, non si parla solo del Cash degli American Recordings: ad esempio, in Love Is Lonely sembra quasi di risentire, pur se a una velocità minore, quello di Ring Of Fire. Un altro pezzo marcatamente country – pur se piuttosto rivisitato – è anche Fire In My Bones, dove l’atmosfera è segnata dal ruolo preponderante di banjo e violino, che fanno però da contraltare a un testo tutt’altro che allegro. Se Oh La La ci porta per qualche minuto in melodie e sonorità che sembrano richiamare alcuni momenti dell’ultimo Steve Gunn, i quattro brani conclusivi  riconducono decisamente verso atmosfere più cupe e malinconiche. Come Home è una ballata lenta in cui musica e testo si fondono in un sentimento che gli argentini usano raffigurare con l’uso di quel particolarissimo verbo che è “volver”. Il successivo Slaughter Creek prosegue sullo stesso binario, anche se l’uso del banjo e una dolce voce femminile in controcanto stemperano un po’ la malinconia. The Disappearing Child, che si snoda attraverso un duetto con la stessa voce femminile del brano precedente, evoca fiabesche sonorità “celtiche” che fanno pensare perfino a certi brani di Loreena McKennitt, ma un testo ambiguo e la stessa alternanza delle voci richiamano piuttosto alcune delle Murder Ballads di Nick Cave, segnatamente il duetto con Kylie Minogue in Where The Wild Roses Grow. Il disco si chiude con The Real Stranger, una sorta di inno-denuncia di una condizione di estraneità non solo fisica a tutto ciò che circonda (“Words surrender to thoughts that don’t mean a thing / Memories always haunted by false truths”), sottolineato da un lungo finale caratterizzato da fiati tra i quali spicca il sax baritono dell’ex Morphine Dana Colley.

Horse Latitudes cresce ascolto dopo ascolto

Horse Latitudes è un disco ben scritto, ben suonato e ben cantato da una voce calda e profonda per la quale sono già stati scomodati paragoni importanti come i già citati Johnny Cash e Nick Cave, ma che a nostro parere richiama soprattutto Hugo Race, soprattutto quello del progetto Fatalists. È un disco che cresce con gli ascolti successivi: se la prima impressione è quella di una sorta di antologia che spazia tra i vari generi della musica popolare” americana senza delineare una sua propria identità, ascolti continuati rivelano invece un progetto personale portato avanti con coerenza. Che certo deve molto ad alcuni suoi predecessori nonché a certe atmosfere western di stampo morriconiano, ma forse anche alla lettura di Cormac McCarthy.

Andrea Van Cleef – Horse Latitudes
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“Giovane” ultrasessantenne, ha ascoltato e ascolta un po' di tutto: dalla polifonia medievale all'heavy metal passando per molto jazz, col risultato di non intendersi di nulla! Ultimamente si dedica soprattutto alla scoperta di talenti relativamente misconosciuti.

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