Bert Jansch at the BBC

Un lungo, periglioso, romantico viaggio insieme a Bert Jansch

Sono 8 i cd che rappresentano le tappe di questa navigazione della musica di Bert Jansch sulle onde radio della BBC dal 1966 al 2009. Sembra tanta roba, eppure ci sono momenti nella carriera di Bert poco rappresentati , come i primi anni ’70 quando il nostro era impegnatissimo con i Pentangle o il biennio 1975-76, per il quale il problema è la sparizione dei nastri, ancorché disperatamente cercati dall’amico-archivista-biografo Colin Harper (a cui si deve il merito non solo della riuscita, ma proprio dell’uscita di questo lavoro).

Eppure le carenze documentarie poco importano. Si potrebbe persino scegliere di non ascoltare seguendo l’andamento cronologico. Ovunque si incontrerà un musicista straordinario, certamente fondamentale in ambito folk, ma anche fra i più straordinari di tutto quel mondo che chiamiamo rock e dintorni. Di lui dice a un certo punto Johnny Marr (sì, quello degli Smiths) sintetizzandone la carriera: “Pentangle, blues, jazz, folk and magic”.

La figura di Bert Jansch

Jansch non è solo colui che (in compagnia di John Renbourn e prendendo spunto dalle intuizioni di Davey Graham) si è inventato un modo nuovo, complicato eppure comunicativo,  di suonare la chitarra che qualcuno ha chiamato blues barocco. E sempre con la sua magistrale chitarra (a volte non esattamente sua, visto che gli capitava spesso di prenderne una a caso in prestito) si è inventato accompagnamenti per brani tradizionali fino ad allora interpretati per sola voce (*). E non basta ancora. Spiega la folksinger e presentatrice BBC Toni Arthur: “Bert non è solo quel chitarrista che se riesci a rifare due battute di un suo strumentale puoi andarne fiero. Per me è soprattutto un grande autore di canzoni”.

E qui si ascoltano, giusto per citarne alcune, Running From Home, capolavoro “on the road” dell’artista giovanissimo, la misteriosa Speak Of The Devil (mai comparsa su album ufficiale), Poor Mouth, Is It Real?, Fresh As A Sweet Sunday Morning, Let Me Sing (dedicata a Victor Jara ucciso dai golpisti cileni) fino alle cose dell’ultima parte di carriera, sempre nello stesso stile pacato, avvolgente e vagamente malinconico, come Crimson Moon, High Days e The River Bank (anche interpretabile come un struggente commiato dalla vita).

E poi c’è ancora da dire di quella voce non certo ricca di estensione, all’apparenza poco passionale, invece a suo modo calda, riconoscibile e persa in un mondo tutto suo.

Alcuni momenti di Bert Jansch at the BBC

Pescando a caso nelle circa dieci ora di musica, si possono segnalare alcune cose: nel primo cd i duetti con Renbourn, anche se modesti come qualità di registrazione, risultano più magici (rubando la parola a Johnny Marr) rispetto alle stesure in studio dell celebre album Bert & John. La prima parte del disco 3 riporta un delicato concerto in compagnia dell’angelo  custode Rod Clements pochi mesi dopo il ricovero d’urgenza che salvò la vita a uno Jansch già sulla via del non ritorno alcolemico.

https://youtu.be/NLlgdlsxL-g

Oltre metà del cofanetto illustra la mirabile “Indian Summer” janschiana post-1998, quando colui che aveva rischiato la rottamazione artistica si trasforma in ossequiato maestro (**) di un modo di suonare elegante ma senza fronzoli, lineare ma intenso. Nel quarto cd spicca la più bella fra tutte le versioni di The River Bank con Johnny Marr e l’altro devoto rocker Bernard Butler (quello degli Suede), mentre nel  quinto appaiono diversi momenti notevoli: due struggenti duetti con un altro storico folkie come Ralph McTell e una Train Song dove Johnny Marr ‘fa il treno’ con la chitarra elettrica. Il cd 7 riporta un concerto datato 2004 insieme a una figura poco nota (e altro campione di dissipazione): Johnny “Guitar” Hodges,  A punteggiare tutto il lavoro provvede Blues Run The Game di Jackson C. Frank, che fu l’inno della Soho alternativa del 1965-66 e che, ancora adesso odora di sigarette, birra e musica senza tempo suonata come se fosse cosa di tutti i giorni.

Sulla lettura del cognome Jansch

Una nota di colore per concludere in tono meno celebrativo: dai vari speaker BBC il cognome Jansch viene pronunciato in ben tre modi diversi. Abbiamo il maggioritario “iansc” (sc come in “scivolo”), seguito da “giansc” (***) e da un improbabilissimo “gians”. Con sole sei lettere a disposizione una performance davvero notevole (****). D’altronde stiamo parlando di un artista sotto ogni aspetto fuori dall’ordinario.

(*) Un’operazione portata avanti nello stesso periodo ma in stile diverso dall’altrettanto fondamentale Martin Carthy. 

(**) Fra i suoi estimatori anche Jimmy Page e Neil Young.

(***) Così lo sentii pronunciare nel 1980 dal suo sodale Renbourn durante un’intervista.

(****) E non dimentichiamo che anche in versione scritta Jansch diventava sovente “Jansh”.   

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Nello scorso secolo e in parte di questo ha collaborato con Rockerilla, Musica!, XL e Mucchio Selvaggio. Ha tradotto per Giunti i testi di Nick Cave, Nick Drake, Tom Waits, U2 e altri. E' stato autore di monografie dedicate a Oasis, PJ Harvey e Cranberries e del volume "Folk inglese e musica celtica". In epoca più recente ha curato con John Vignola la riedizione in cd degli album di Rino Gaetano e ha scritto saggi su calcio e musica rock. E' presidente della giuria del Premio Piero Ciampi. Il resto se lo è dimenticato.

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