Dopo 16 anni Bonnie ‘Prince’ Billy & Matt Sweeney si ritrovano per Superwolves.
Will Oldham, in arte Bonnie ‘Prince’ Billy, Palace Brothers, Palace e pure se stesso (oltre a frequenti collaborazioni), è uno degli artisti più in sintonia con gli ultimi, complicati decenni delle nostre vite. Evocatore dell’oscurità sotto forma di cantante dal tono tremulo e perturbante e compositore visionario, geniale, talora eccessivo nella sua frammentata produttività. Per chi non lo conoscesse, il suo agire sonoro si muove fra folk e country ma con modalità assai alternative e spesso disturbanti. Alternativo pure il personaggio, bizzarra e a volte vagamente aliena fusione di predicatore sudista e turista da crociera dei matti in infradito e unghie laccate di azzurro (chi scrive può testimoniare).
Le carriere di Bonnie ‘Prince’ Billy e Matt Sweeney
Sempre per chi non lo conoscesse si possono consigliare alcuni passaggi della sua discografia come Days In The Wake per gli scheletrici inizi (a nome palace Brothers), Joya (a nome Will Oldham), I See A Darkness (con la title-track interpretata da Johnny Cash, nientemeno), The Letting Go e il recente I Made A Place – stranamente quasi allegro – accreditati a Bonnie “Prince” Billy).
In tutto questo tripudio di situazioni c’è stato spazio nel 2006 per un album intitolato Superwolf insieme al chitarrista Matt Sweeney, axeman – pure lui di stampo alternativo – con Skunk, Chavez e Zwan, oltreché sessionman richiesto tanto dai cattivi Run The Jewels quanto dal sentimentale Neil Diamond. A 15 anni di distanza ecco il secondo volume della collaborazione, messo a punto nel corso di un lustro e intitolato, con poca fantasia, Superwolves. Come nell’occasione precedente le parole sono di Oldham, le musiche di Sweeney.
Cosa si ascolta in Superwolves
L’iniziale Make Worry For Me con le sue modanature noir nella melodia e nel testo (“Ho mostri dentro di me”) sorprende e potrebbe piacere anche a chi preferisce l’indie-rock alla canzone d’autore, giacché Matt Sweeney si riconferma subito strumentista inusuale, vario e bravissimo a sottolineare oppure a strutturare secondo i casi. Anche Not Fooling, in chiusura di programma, si mostra inquieta e ricca di sussulti. In generale, a farsi maggiormente apprezzare sono però i passaggi più folk come la notturna My Popsicle, che riesce a essere delicata e minacciosa, oppure l’intenso tradizionale irlandese I Am A Youth Inclined to Ramble, di certo imparato dalla versione di Paul Brady.
Forse la canzone più bella di tutte nella sua linearità è Resist The Urge, dove il Principe dimentica l’oscurità di certe sue liriche per lasciarsi andare a una commovente perorazione: “Se io morissi prima di svegliarmi/ Resisti al desiderio, resisti al desiderio/ Di piangere o balbettare per amor mio/ Non sono morto, non sono morto”. Un discorso a parte merita il momento più tirato del lavoro, Hall of Death, che vede la presenza dell’eccezionale chitarrista nigerino Mdou Moctar, con il povero Principe che quasi non si raccapezza in mezzo a tale tempesta elettrica.
Una collaborazione che vorremmo riascoltare fra non troppo tempo
La cosa fondamentale è che i due sembrano davvero fatti l’uno per l’altro e la loro musica scorre bene senza apparire troppo fosca (come accade talora a BPB) oppure troppo sperimentale (come accade talora a Sweeney). È come se parlassimo di un duo consolidato da anni di costante attività comune – e in cui ognuno completa l’altro – anziché di una collaborazione rimessa in piedi dopo tanto tempo. E allora, cari amici, non aspettate altri 16 anni per Superultrawolwes, o come vorrete chiamare il vostro terzo album insieme. Sarebbe il 2037 e viene paura solo a pensarci.
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