I Made a Place: un Bonnie “Prince” Billy ispirato e (abbastanza) positivo.

I Made a Place è un disco abbastanza positivo. Non è cosa da poco considerando che la canzone più nota di Bonnie “Prince”’ Billy s’intitola a I See A Darkness. E che quella più bella (Death To Everyone) dice “Morte a tutti sta per arrivare”.
Lo strano fascino di Will Oldham/ Bonnie “Prince” Billy
In realtà, parlare di ottimismo o pessimismo a proposito del musicista di Louisville, Kentucky è improprio. A metà anni ’90 i suoi primi dischi (a nome Palace Brothers o Palace o Palacesongs) si caratterizzavano per una dimensione soprattutto misteriosa. Si poteva parlava di musica folk, certamente, ma i suoi referenti erano più Tom Sawyer e il capitano Achab che non la Carter Family o Bob Dylan. Passando dalla supernicchia di allora a una passabile notorietà, Will Oldham (il suo vero nome) ha mantenuto un’allure arcana e un po’ bizzarra. Qualche anno fa, prima di un concerto, lo si vide sulla spiaggia di una località di mare italiana con ciabattine infradito e unghie dei piedi laccate di azzurro fosforescente. Un bel contrasto con la faccia da predicatore visionario.
Gli anni ’10 di Bonnie “Prince” Billy e I Made a Place
A dire la verità, il Bonnie “Prince” Billy degli anni ’10 era fin qui apparso un po’ fermo. Il precedente album di canzoni originali (Wolfroy Goes To Town – 2011) suonava poco comunicativo, dopodiché c’erano state rivisitazioni del proprio catalogo o di quello di maestri quali Everly Brothers o Merle Haggard. Tutte cose carine ma poco emozionanti.
I Made a Place cambia un po’ la situazione e non solo per l’atmosfera positiva di cui si diceva. Forse il soggiorno alle Hawaii dello scorso anno ha regalato la spinta della brezza marina a canzoni che scorrono bene anche quando il ritmo rallenta. Cosa altrettanto importante è che parliamo di un album vario come situazioni sonore: il country spigliato di New Memory Box, il quasi pop di Squid Eye, il flauto prog (!) di Dream Awhile, l’honky tonk di Mama Mama. Poi ci sono pezzi come I Have Made A Place e soprattutto The Glow, pt. 3 che riportano al folk misterioso che ci aveva fatto amare Will Oldham tanti anni fa e, in verità, anche a una certa oscurità di stato d’animo.
Il finale è affidato a Building A Fire, rassicurante e avvolgente inno alle gioie della vita di coppia: “E il tuo cuore è il mio cuore/ E la tua lingua è la mia lingua / E la tua voce è la voce/ Che mi descrive dall’interno”. Mica è sempre vero che il cantautore più ispirato è quello addolorato.
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