comaneci

Veterani ma ancora con tante idee: sono i Comaneci di Anguille.

Felice ritorno dei romagnoli Comaneci con il loro quinto album in diciassette anni di attività: Anguille (per Santeria / Wallace Records / Tannen Records). Accanto a Francesca Amati e a Glauco Salvo ritroviamo alla batteria Simone Cavina che aveva esordito nel precedente Rob A Bank. «Anguille è un disco di perseveranza e trasformazione: nato e cresciuto in tempi di lontananza e limitazioni, ha cercato di trasformarsi in un’occasione per esplorare nuovi orizzonti» spiegano nel press kit, ed evidentemente questa situazione eccezionale è presente nel disco, innanzitutto nei suoi testi in chiaroscuro, che presentano più domande che risposte al vivere quotidiano. E di conseguenza anche la musica e gli arrangiamenti sottolineano le inquietudini e le contraddizioni. Anche se lo fanno con la gentilezza e la delicatezza di quel dream folk nel quale si è sempre mossa la band romagnola. C’è il verso iniziale di una delle canzoni più belle e ispirate di Anguille, la sognante e psichedelica Every Night che recita: «Ogni mezzanotte tra il giorno e la notte Troverai una crepa nella luce oscura» che mi pare colga perfettamente il clima emotivo dell’album, la ricerca di una luce che rischiari l’oscurità che a volte sembra pervaderci tutti.

Le atmosfere del disco

Percussioni marziali e un turbinio di synth caratterizzano il breve strumentale Listen che apre l’album e ci introduce alle atmosfere tenebrose e inquiete di Couldn’t Help It in cui Francesca Armati duetta con Troy Mythea. Little Girl si caratterizza per il ritmo impresso dalle percussioni su cui le chitarre disegnano immagini cinematiche, per atmosfera e uso della batteria ricordano i King Hannah. The Stray è ricca di pathos nell’evocare lo smarrimento di un vagabondo in una New York sfuggente e fonte di deliri,  mentre il protagonista si chiede dove sia finita la sua giovinezza; il testo è una poesia di Charles Simic. Martellano ipnotici i tamburi in Loss of Gravity fra i suoni sporchi delle chitarre mentre la Amati e Tim Rutili dei Califone cantano che «la perdita di gravità non mi porterà da nessuna parte».

Anguille è una conferma per i Comaneci

Jaws ci riporta ad atmosfere più rarefatte e The Tongue vede cantare la Amati su un sottofondo di disturbanti suoni elettronici e The Hidden Place alterna dolcezza e irrequietezza soprattutto per i synth disturbanti che la caratterizzano. Hillhouse ha un arrangiamento minimale, pochi tocchi di synth e una magistrale Amati che dipinge malinconiche suggestioni. To The Water chiude l’album proiettandoci in un paesaggio algido e fuori dal tempo, note solitarie del piano, scampanellii sorreggono il canto che ripete ipnotico «Let’s Go To The Water». Il disco si chiude così in un’atmosfera intima e raccolta, una provvisoria quiete. Abbandonarsi alle carezze dell’acqua per alleviare le inquietudini del presente. Un effetto benefico come l’ascolto di questa musica incantevole e affascinante che conferma la caratura dei Comaneci.

Comaneci - Anguille
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Nato nel 54 a Palermo, dal 73 vive a Pisa. Ha scritto di musica e libri per la rivista online Distorsioni, dedicandosi particolarmente alla world music, dopo aver lavorato nel cinema d’essai all’Atelier di Firenze adesso insegna lettere nella scuola media.

Un pensiero su “Recensione: Comaneci – Anguille”
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